
Prima di immergerci, è il caso di dirlo, nelle atmosfere caldo-africane che ci regala il documento postale protagonista dello sfizio di oggi, è bene seppur sinteticamente inquadrare il contesto storico entro cui ci muoviamo.
Parliamo della Libia, un “pallino” fisso della politica estera della prima metà del Novecento (sulla seconda metà del Novecento volutamente taccio).
La Libia è storicamente suddivisa in tre regioni, Tripolitania a nordovest, Fezzan a sudovest, e Cirenaica a est. Con la guerra italo-turca del 1911-12 l’Italia conquistò la porzione costiera della Tripolitania; quindi, nel 1923-25 il resto della Tripolitania; poi, nel 1928-30 tutto il Fezzan; e infine nel 1930-32 l’intera Cirenaica.
Non mi soffermo sui rastrellamenti e l’uso di gas chimici utilizzati per ottenere la vittoria a tutti i costi.
Il regime fascista aveva di che rallegrarsi: con un solenne proclama, nel gennaio 1932, Badoglio annunciò alla nazione che la Libia era conquistata e pacificata, finalmente unificata sotto l’egida littoria.
Già nel 1922 erano iniziati i lavori di ampliamento del porto di Tripoli, ma una volta che la Libia venne interamente conquistata i lavori di civilizzazione di quello spicchio di terra vennero incrementati: fogne, acquedotti, strade, ferrovie, quartieri moderni, insediamenti industriali, negozi, alberghi, banche. Novità e innovazioni che, dal 1927, vennero declamate attraverso la Fiera internazionale di Tripoli.
L’italianizzazione di quella porzione d’Africa non ebbe alcuna sosta.
Parimenti, anche gli aspetti più ludici non vennero trascurati.
Dal 1925 al 1940 venne organizzato il Gran Premio di Tripoli, un’importante competizione automobilistica che dal 1934 si correva nell’autodromo della Mellaha, appena inaugurato e a cui era legata la Lotteria di Tripoli, un concorso a premi abbinato ai risultati della gara.
In mezzo a tanto fermento c’era però un bel problema. La Libia a sud si perdeva con il deserto del Sahara, a nord c’era il Mediterraneo, a ovest l’Algeria francese e a est l’Egitto britannico. Capite bene che quando scoppiò il secondo conflitto mondiale i libici autoctoni e alloctoni, soprattutto quelli abitanti in Cirenaica, avevano praticamente il nemico dietro casa.
Tripoli fu il primo bersaglio degli Alleati: bombardare costantemente il suo porto e il suo aeroporto, così da eliminare ogni forma di approvvigionamento dall’estero, divenne la priorità. È del 20 giugno 1940 la prima incursione aerea alleata, ma le bombe caddero su Tripoli sino a tutto il 1942.
Poi, il 14 febbraio 1941, arrivarono le truppe tedesche a supporto del generale Rommel che riuscì a spingersi sino ad El Alamein il 30 giugno 1942, ma quella sconfitta dell’Asse segnò l’inizio della fine.
E sebbene, incredibilmente, nel 1942 ancora si vendessero i biglietti della Lotteria di Tripoli, a gennaio 1943 con l’ingresso dell’ottava armata britannica a Tripoli tutti i sogni colonialistici italiani svanivano.
Ma arriviamo adesso finalmente a noi.
Ci troviamo a Tripoli, il 5 settembre 1940. L’atmosfera è calda ma non ancora caldissima. Una cartolina parte in direzione Roma, destinataria la Gent.ma Signorina Ivana.
Sul lato illustrato della cartolina, un acquerello in stile coloniale di S. Bonelli (da non confondere con Sergio Bonelli, fumettista, editore, “padre” di Zagor, Mister No, Dylan Dog, etc): un cammello, due beduini, e alle spalle un minareto e le tipiche case basse.
Sul lato indirizzo, stampigliato al centro in alto una reclame della Lotteria di Tripoli: “Acquistate un biglietto!” Le bombe cadevano, ma importante era acquistare un biglietto della lotteria…
Il francobollo è assente perché la cartolina ha viaggiato in franchigia, come correttamente riportato dal mittente a macchina da scrivere. Evidentemente, ne aveva diritto, probabilmente un militare, forse un ufficiale.
Il bollo a forma di “U” personalmente è la prima volta che lo vedo, ma sembrerebbe essere una sorta di visto, di benestare all’esenzione postale, con tanto di firma. Se qualche lettore ne dovesse sapere di più, è ovviamente il benvenuto.
Ma, come sempre, quel che più ci interessa da vicino è il testo.
Che avrà scritto mai da Tripoli con gli aerei alleati che svolazzavano in cielo? Paura? Determinazione?
Tutt’altro. Leggiamo.
«Dalle doppie cime gibbose di un cammello, sferzate dal ghibli del deserto, t’invio saluti e baci. Un ammiratore incognito.»
Hai capito la Signorina Ivana?! Aveva gli ammiratori!
Che il mittente, per Ivana, fosse anonimo o meno non lo possiamo sapere; è possibile che Ivana sapesse benissimo chi fosse e che “ammiratore incognito” è solo un gioco tra loro due.
Sta di fatto che, tenendo davanti gli occhi la cartolina dal lato illustrato, questi saluti e questi baci sembrano davvero arrivare con le calde folate del desertico ghibli.
E con questa suggestione, chiudo qui lo sfizio.
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