CAFFE’ SI’, MA CON LA CUCCUMELLA!

CAFFE’ SI’, MA CON LA CUCCUMELLA!

Basta farsi un giretto online o nei negozi specializzati e ti viene il mal di testa: in grani, macinato o in capsule o cialde, compostabili o meno, originali o compatibili, intensità, aroma, tostatura, robustezza, monorigine, biologico, in tazza di vetro, in tazza piccola, in tazza grande, latte a parte, …emmammamia! Per un caffè!?

Un tempo non c’erano tutte queste cose.
Sino a non molto tempo fa il caffè lo si faceva (e qualcuno lo fa tuttora) con la moka, una caffettiera la cui invenzione risale al 27 settembre 1933 quando Alfonso Bialetti depositò all’ufficio brevetti con il n. 34833 l’invenzione di Luigi De Ponti con il nome di “Moka Bialetti”.
Ma la moka non è la prima macchinetta per il caffè. Prima ancora del 1933 il caffè si faceva con la cuccumella!

Tra il 1806 e il 1815, due artigiani parigini, Hadrot e Sené, crearono i primi modelli di caffettiera a inversione, precursori della cuccumella. Erano in fer-blanc, un materiale economico ma poco sicuro.
Nel 1820, Jean-Louis Morize perfezionò il modello realizzandolo in rame e con un doppio filtro.

L’invenzione di Morize si diffuse in tutta Europa e conquistò l’Italia e in particolare Napoli dove conobbe il suo massimo successo. Ai napoletani quel modo di fare il caffè ricordava una cuccuma, dal latino cucuma, ovvero un paiolo o vaso di rame o terracotta in cui si fa bollire l’acqua. Da lì, il nome “cuccumella”.

La cuccumella, fabbricata inizialmente in rame ma poi diffusasi in alluminio, è una caffettiera che si distingue dalla moka per il suo funzionamento a percolazione.
È composta da tre elementi principali a incastro, senza guarnizione: il serbatoio, il filtro e il bricco con maniglia e beccuccio.

Il meccanismo è molto semplice. Si riempie il serbatoio con l’acqua, si inserisce il filtro con il caffè macinato grossolanamente, e in alto si chiude con il bricco. Quindi si pone la cuccumella sul fuoco. Una volta che l’acqua ha raggiunto la temperatura ideale, si capovolge con gesto rapido la caffettiera: per gravità, l’acqua scende attraverso il filtro, passa attraverso il caffè, estraendo e raccogliendo la bevanda nel bricco inferiore da cui si versa attraverso il becco.

Un quarto elemento della cuccumella, apparentemente minore ma con una specifica e importante funzione, è il cuppetiello, ovvero un semplice cono che, come da tradizione, si può realizzare anche a mano con un foglio di carta e che, una volta pronto il caffè, va posto sul becco per non disperderne l’aroma prima di versarlo.

La cuccumella, a dispetto della sua origine francese (ma se parli con un napoletano questo è un aspetto totalmente irrilevante, quasi inesistente, come se non fosse mai avvenuto), divenne così simbolo della tradizione partenopea.

Potremmo portare migliaia di testimonianze e citazioni a supporto, ma anche se è un po’ lungo (e se davvero lo considerate troppo lungo, mentre lo leggete, pigliateve nu cafè!), tra tutti vale la pena riportare il monologo sul caffè di Eduardo De Filippo nella sua commedia “Questi fantasmi“. Una conversazione tra Pasquale Lojacono e il Prof. Santanna, dai balconi delle loro rispettive case.

«A noialtri napoletani, toglieteci questo poco di sfogo fuori al balcone… Io, per esempio, professo’, a tutto rinunzierei tranne a questa tazzina di caffè, presa tranquillamente fuori al balcone, dopo quella mezz’oretta di sonno che uno si è fatta dopo pranzo. E me la devo preparare io stesso, con le mie mani, sono gelosissimo… Mia moglie? No, no, no, mia moglie non collabora, sapete, è molto più giovane di me, e la nuova generazione ha perduto queste abitudini che, secondo me, sotto un certo punto di vista sono la poesia della vita; perché, oltre a farvi occupare il tempo, vi danno pure una certa serenità di spirito. E poi, chi mai potrebbe prepararmi una tazzina di caffè come me lo preparo io, con lo stesso zelo, lo stesso amore. Capirete che, dovendo servire me stesso, seguo le vere esperienze e non trascuro niente… ma proprio, lo faccio con tutte le regole… Per esempio, professo’, sul becco… lo vedete il becco? (Prende la macchinetta in mano e indica il becco della caffettiera) Questo, professore… No, qua, voi guardate a me… il becco della caffettiera… No, per carità, io non m’arrabbio… permetto di dire che sono di spirito anch’io, avete fatto uno scherzo… No, dicevo, sul becco io ci metto questo coppitello di carta… Eh, quello sembra niente questo coppitello, eh ma pure c’ha la sua funzione… E già, perché il fumo denso del primo caffè che poi è quello più carico, non si disperde, anzi rimane dentro e profuma tutto l’ambiente, lo prepara per ricevere la sostanza, il caffè. Come pure, professo’, eh, ricordatevelo, prima di versare l’acqua, che secondo me deve bollire un paio di minuti per raggiungere quelle calorie, prima di versarla vi dicevo, nella parte interna della capsula bucherellata… no, no, dall’altra parte, dove si versa l’acqua… eh, voi chiudete la capsula, poi la capovolgete… eh, dove si versa l’acqua, eh, sul fondo, sentite, bisogna cospargervi in precedenza un mezzo cucchiaino di polvere appena macinata… è un piccolo segreto! Eh già, perché l’acqua, in pieno bollore, già si aromatizza per conto suo, nel momento della colata… E allora il caffè viene più profumato, viene meglio… È una grande soddisfazione ed evito pure di prendermi collera, perché se, per una dannata ipotesi il caffè riesce male, va bene, per una manovra sbagliata… s’aunisce o’ piezz’ ‘e coppa a o’ piezz’ ‘e sotto e se mmesca diciamo posa e ccafè… siccome l’ho fatto con le mie mani non me la posso prendere con nessuno, mi convinco che è buono lo stesso, me lo bevo e ti saluto. Professo’ voi pure vi divertite qualche volta, e come no, perché io vi vedo fuori al balcone a fare la stessa funzione… la mattina presto, sì, vi vedo col giornale, sì… E i’ pure, sì, sì, proprio le stesse abitudini… Anzi, siccome, come vi dicevo, è vero, mia moglie non collabora, me lo tosto da me… Sì, sì, sì, e beh, quella poi è la cosa più difficile, eh… indovinare il punto giusto di cottura, ‘o colore professo’, il colore… A manto di monaco… Color manto di monaco. State servito, professo’? Permettete? …e che profumo! Mmm, è na meraviglia! Scusate professo’, eh (Beve) Aè, chesto non è cafè, chesto è cioccolata!»

Meraviglioso! Se volete, trovate facilmente il filmato su YouTube.
Avrete già intuito, quindi, che il documento postale protagonista dello sfizio odierno ha a che fare con la cuccumella! Ebbene sì.
Si tratta di una cartolina commerciale spedita da Napoli il 22 luglio 1931 dalla ditta Luigi De Luca & C., Fabbrica Caffettiere Napoletane, con sede in Corso Meridionale n.7.

La cartolina è indirizzata a un signore di Taranto e, chiaramente, la natura della comunicazione è prettamente commerciale:
«Riceviamo la Vs. 21 c.m. e vi confermiamo che le macchinette sono quelle che via abbiamo spedite precedentemente e che nessun cliente ha trovato a ridire. Voi le conoscete, ce le avete riordinate e non sappiamo come interpretare lo scopo della Vs. cartolina. Ad evitare eventuali contestazioni, vogliate darci conferma. Sul doppio commissione il ns. viaggiatore erroneamente segnò il prezzo con 0.05 in meno da quello precedente e fidiamo sulla Vs. correttezza nel vederci riconoscere il prezzo di prima da voi accettato. In attesa di presto leggervi e stima vi salutiamo. Luigi De Luca»

Ok, questioni economiche, non ci interessano più di tanto.
Quel che ci interessa, invece, è l’illustrazione della cartolina della ditta napoletana, con una bellissima cuccumella in evidenza, il modello “Enza”.

Ormai della cuccumella sappiamo morte e miracoli, e quindi ci accorgiamo subito per come è disegnata (con il becco a testa sotto, nella parte alta della macchinetta) che è presentata nell’assetto di quando deve essere posta sul fornello, per far scaldare l’acqua.

Insomma… È lunedì mattina… Sono le 8.00… Che ne dite, ce lo pigliamo stu café?

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