IL LARDO, IL LARDO!

IL LARDO, IL LARDO!

E’ il 9 marzo 1898, il bollo in partenza da Milano riporta anche le ore (“7S” significa le 7 di sera). La letterina è indirizzata alla Signora Irene, abitante a Cesano Boscone, ma per raggiungere il centro lombardo occorreva passare per Corsico. Il mittente lo appuntò nell’indirizzo: «Corsico p. Cesano Boscone».

All’epoca Corsico era un centro molto più grande di Cesano, anche se in epoca medievale era esattamente l’opposto. In epoca napoleonica avvenne il sorpasso, con Corsico che si sganciò definitivamente dal territorio comunale di Cesano, rimasto ormai agli sgoccioli con meno di mille abitanti.
Riporto la trascrizione della letterina, e poi la commentiamo.

«Carissima Irene,
Cascina Mirabello 9/3/1898
Abbiamo ricevuto la cara lettera della mamma, nonché la sua gentile di ieri. Godiamo assai nel sentire che continuano di bene in meglio, desideriamo che questo bene si cangi in benone perché anche lo Zio Pietro forse domani o dopo comincerà alzarsi un po’ in stanza. La ringraziamo d’averci date le notizie della buona Zia Teresa e d’averci risposto riguardo la ghiacciaia del Sig. Tavazzani. A proposito di questo il Sig. Virgani à detto che si parleranno in piazza sabato 12 marzo.
La cara Zia mi incarica di dire che il lardo è stato voltato colla crosta di sotto.
Aggradisca, Irene carissima, i saluti affettuosi degli Ottimi Zii, un bacio dai cuginetti per Lei, la buona Mamma e il caro Gaetano nonché un saluto dalla sua affez. Antonietta.»

Il mittente, Antonietta, scrive dunque da Cascina Mirabello, e Cascina Mirabello o “Villa Mirabello” non è una dimora qualsiasi.
Basti pensare che Villa Mirabello da il nome alla via dove è ubicata, Via Villa Mirabello n.6, Milano.

Con un progetto attribuito a Michelozzi Michelozzo e con le decorazioni di Bartolomeo da Prato, con colonne in pietra e muri di laterizio a vista, Villa Mirabello venne edificata intorno al 1455.
Oggi vi ha sede la Casa di lavoro e patronato per i ciechi di guerra di Lombardia, ma un tempo era una residenza nobiliare suburbana.

Dalla scheda n. 0300101875 del Catalogo generale dei Beni Culturali (è un bene tutelato dal 6 febbraio 1911) apprendiamo:
«Il complesso è costituito dall’edificio nobile disposto ad angolo retto, da rustici e da un piccolo oratorio all’interno del quale vi sono lacerti di un affresco del sec. XV, raffigurante un santo che innalza la croce. A pianoterra su un’ala si apre verso il giardino, un porticato con colonne in pietra, che al primo piano conserva i resti di una loggia-cortile su cui si affaccia un porticato con loggiato superiore, sostenuto da colonne ottagonali in pietra al pianoterra e in legno al piano superiore…»

Un aspetto che fa sorridere e che porta con la mente a certi sceneggiati ambientati in tempi andati è sicuramente la frase riguardo l’incontro tra i Sigg. Tavazzani e Virgani: «si parleranno in piazza sanato 12 marzo».
Non con un messaggio vocale su Whatsapp, non con una telefonata, non con una videochiamata: si incontreranno in piazza, e si parleranno. Semplicemente.

Certo, detta così suona un po’ minaccioso, sembra quasi una scena di Mezzogiorno di fuoco, come se in piazza dovessero risolvere una questione in singolar tenzone, mani tese sulle pistole alla cintola e chi è meno svelto muore.

Ma questa frase è niente rispetto alla successiva: «La cara Zia mi incarica di dire che il lardo è stato voltato colla crosta di sotto».
Anzitutto, occorre sottolineare il fatto che Antonietta si premura di riferire questa informazione. Era evidentemente importante per l’epoca, così importante da meritare un posticino nella letterina già striminzita di suo.

Fino a non poco tempo fa, uccidere il maiale era un avvenimento, un rito, che coinvolgeva tutti i membri di una famiglia, compresi quelli più piccoli e compresi vicini, amici e compari. Uccidere un maiale significa assicurarsi una risorsa alimentare per tutto l’inverno, anche se fino al ‘900 la carne di maiale era un privilegio riservato ai ricchi, mentre i contadini si accontentavano di fagioli (che infatti erano noti come la “carne dei poveri”).

Ogni parte del maiale veniva utilizzata. Il sangue era usato per il sanguinaccio, le budella per gli insaccati, e perfino le setole servivano per produrre pennelli. Le ossa venivano macinate per fare il sapone, mentre il grasso e il lardo rappresentavano risorse preziose alla base della cucina contadina.

Il lardo si ricava dalla cute del maiale, dalle aree del dorso, del collo oppure dei fianchi.
Il grasso viene poi aromatizzato con pepe nero, aglio, noce moscata, coriandolo, chiodi di garofano, cannella, bacche di ginepro, foglie di alloro, rosmarino, salvia.

Quindi, viene lasciato stagionare per almeno 5-6 mesi in specifiche “conche” di marmo (quelle del “Lardo di Colonnata” sono di marmo di Carrara) il che fa conferire al lardo un classico colore grigio-nero.
La “crosta” di cui parla Antonietta è appunto questa parte “stagionata”.

Altri tempi…

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