Stavolta il tuffo nel passato che vi farà fare oggi Sfizi.Di.Posta è di oltre duecento anni e l’ambientazione è un po’ alla “Il Conte di Montecristo“.
Ci troviamo infatti il 4 dicembre 1813 a Brescia, e vale la pena fare un piccolissimo e sintetico riassuntino di storia.
A seguito delle varie Campagne d’Italia che videro vittorioso Napoleone Bonaparte prima sulla Serenissima Repubblica di Venezia (1797) e poi sulla coalizione austro-russa (1800), buona parte del nord Italia andò a costituire la Repubblica Cisalpina prima e la Repubblica Italiana poi.
Con la pace di Presburgo del 26 dicembre 1805, l’Impero austriaco rinunciò alla provincia veneta che fu quindi unita al territorio già in mano francese, andando così a costituire il Regno d’Italia.
Nel frattempo, ancor prima di definire i confini del nuovo Impero, il 2 dicembre 1804 Napoleone Bonaparte si era autoproclamato e autoincoronato “Imperatore dei Francesi”, mentre il 26 maggio 1805 si fece incoronare anche Re d’Italia.
Amministrativamente, il Regno d’Italia napoleonico era suddiviso in dipartimenti, come in Francia. Al massimo della sua estensione, nel 1812, il Regno d’Italia contava 24 dipartimenti. Uno di questi era il Dipartimento del Mella con capoluogo Brescia.
La prima volta che Bonaparte arrivò a Brescia fu il 27 maggio 1796, nel corso della prima campagna d’Italia, ma Napoleone tornò a Brescia diverse altre volte, alloggiato al monastero di Sant’Eufemia o a palazzo Fenaroli Avogadro.
Da un punto di vista militare, invece, nel 1806 i territori del Regno d’Italia furono suddivisi in sei Divisioni Territoriali Militari con comando a Milano, Brescia, Mantova, Ancona, Venezia e Bologna.
Le truppe italiane vennero utilizzate più volte nei vari fronti di battaglia, nel 1808 in Spagna, nel 1809 contro l’Austria, nel 1812 nella disastrosa Campagna di Russia (degli oltre 600.000 uomini partiti, ne tornarono meno di un decimo, quasi tutti stremati dal freddo e dalla fame).
Nel 1813 Russia, Austria, Prussia, Svezia si coalizzarono per sconfiggere una volta per tutte Napoleone. Dopo alcune iniziali vittorie, i francesi il 19 ottobre 1813 vennero pesantemente sconfitti a Lipsia in quella che è passata alla storia come la “battaglia delle nazioni”.
Nel marzo 1814 gli eserciti alleati occuparono Parigi e Napoleone fu dichiarato decaduto dal Senato. Firmata in aprile l’abdicazione, Napoleone, abbandonato anche dalla moglie, venne esiliato nell’isola d’Elba.
Questo, quindi, il contesto storico entro cui ci muoviamo con il documento protagonista dello sfizio di oggi, un piego spedito, come detto, da Brescia per città il 4 dicembre 1813.
Al fronte del piego troviamo un bel bollo in lingua francese “COMMISSAIRE DES GUERRES” con al centro l’aquila imperiale francese e con a fianco una firma, “Imbert”, e l’indirizzo del destinatario, al Signor Podestà di Brescia.
Di seguito, il testo all’interno.
«S. A. I. il Principe ViceRé coll’ordine del giorno primo and.te accordava una razione di vino a tutti gli individui delle truppe che sedentarie stazionate nel Regno per l’anniversario dell’incoronazione di S. M. L’Imperatore e Re.
La prego quindi Sig. Podestà di dare le opportune disposizioni acciocché le truppe stazionate nella sua comune e circondario ricevano quanto è stato Superiormente deciso ritenendo che simile fornitura sarà fatta dietro boni dei rispettivi comandanti e quartiermastri, e nelle regolarità volute.
Il Commissario di guerra
Imbert»
L’anniversario dell’incoronazione cui fa riferimento il Commissario di guerra è appunto quello del 2 dicembre, quando nel 1804 Napoleone si autoincoronò Imperatore di Francia.
E quindi bisognava festeggiare! E in quale altro miglior modo se non alzando un calice di vino?
Il tutto, però, a spese di chi?
Dei comandanti e dei quartiermastri!
Tutto ciò era stato disposto da “Sua Altezza Imperiale il Principe ViceRé”, ovvero Eugenio di Beauharnais, figlio di Giuseppina (che poi diverrà la moglie di Napoleone), nominato da Napoleone suo viceré per il neo costituito Regno d’Italia nel 1805, con sede nella Villa Reale di Monza.
Eugenio, abile e valoroso condottiero, era a capo del contingente italiano che partecipò alla disastrosa Campagna di Russia.
Tornato a Milano e annusando venti di guerra, prese a riorganizzare l’esercito per difendere il regno contro il temuto assalto dell’Austria, come infatti avvenne da lì a poco.
Napoleone gli aveva affidato il compito di difendere il fronte tra Cattaro e Bolzano, ma quando nell’ottobre del 1813 gli austriaci invasero il territorio veneto Eugenio, ritiratosi inizialmente sul Piave, scelse di ripiegare direttamente sull’Adige dove rafforzò un’efficace linea di difesa.
Ciò ebbe i suoi frutti con le vittorie francesi a Caldiero (13 novembre) e a San Michele e San Martino Buon Albergo (il 19 novembre), dopodiché la situazione andò in stallo sino a gennaio 1814 quando il tentennante Murat, a capo del Regno di Napoli, gettò finalmente la maschera, schierandosi contro i francesi.
Eugenio, vistosi accerchiato ma cercando di fortificare una linea di difesa fra Mantova e Peschiera, ripiegò sul Mincio dove si scontrò con l’esercito della coalizione l’8 febbraio 1814, una battaglia di pari forze che non ebbe né vincitori né sconfitti.
Del resto, da lì a breve, il Regno d’Italia non poté che seguire le sorti dell’impero napoleonico.
Il 4 dicembre 1813, quindi, c’era poco da festeggiare a Brescia. Le precedenti vittorie di Caldiero e di San Michele e San Martino erano sì delle vittorie, ma nell’aria serpeggiavano infausti presagi.
In questo contesto, quindi, il bicchiere di vino offerto ai soldati va visto più come un gesto di vicinanza e di incitamento alle truppe piuttosto che un calice alzato per festeggiare l’anniversario imperiale.
Per quanto riguarda il Commissario di guerra, Jmbert o Imbert, non ho trovato nulla. E’ esistito, nello stesso periodo, Xavier Lebret barone d’Imbert, capitano di vascello della marina francese, ma ebbe fortune altrove, non in Italia, e all’epoca della nostra lettera confinato a Marsiglia, per cui non si tratta della stessa persona.
Del resto, l’ordinamento militare napoleonico prevedeva Commissari di guerra ufficiali, ordinari di prima classe, ordinari di seconda classe, e quindi aiutanti di prima classe e aiutanti di seconda classe. Una sfilza di nomi e incarichi che, chi vuol passarsi il tempo, può spulciare negli Almanacchi imperiali che la Imprimerie de l’Empereur dava alle stampe ogni anno.
Quel che interessava a Sfizi.Di.Posta era, in fin dei conti, aprire questa bicentenaria finestra sul passato e immaginarsi di essere lì, in mezzo alle truppe, sfiancate da anni di guerre, sconfortati per il futuro, lontani dagli affetti più cari, attorno a un fuoco, a sbevazzare quel bicchiere di vino offerto dall’Imperatore.
Poca roba, alla fine.
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