SU UN TRENO PER LA GERMANIA…

SU UN TRENO PER LA GERMANIA…

Il 27 gennaio 1945, esattamente 80 anni fa oggi, le truppe sovietiche della 60ª Armata comandate dal maresciallo Ivan Stepanovic Konev entravano nel campo di concentramento di Oswiecim, più noto con il toponimo tedesco Auschwitz.

L’orrore del genocidio perpetrato dai nazisti ad Auschwitz e che venne fuori una volta aperte le porte del campo fu talmente assordante da lasciare ammutolito il mondo intero.
Circa 1.100.000 morti solo lì.

Racconto sempre dello scambio culturale che il mio liceo organizzò con un liceo di Varsavia, nel 1987. Avevo 15 anni, frequentavo la classe terza, ospitai una ragazza di Varsavia a casa mia per 15 giorni, e dopo qualche mese partimmo per la Polonia, ospitato stavolta a casa della stessa ragazza.
Per l’intera compagine italiana la trasferta polacca fu molto “allegra”: feste tutte le sere, ormoni impazziti, insomma potete immaginare un po’ la situazione…
A metà vacanza ci trasferimmo un paio di notti a Cracovia, e da lì una mattina un autobus ci portò al campo di sterminio di Auschwitz.
Sapevamo già cosa stavamo andando a vedere, sapevamo perfettamente che Guccini aveva proprio ragione quando cantava che coi miti della razza e nei campi di sterminio Dio è morto, ma nessuno di noi prima di varcare quel cancello aveva piena consapevolezza di cosa stavamo per vivere.
Tutti i sorrisi sparirono quel giorno. Tutti i bollenti spiriti si spensero. Nessuno aveva voglia di parlare.
Quel giorno quello che vedemmo ci annientò.
In quel luogo l’orrore ti penetra sotto la pelle, come l’inchiostro di quei numeri tatuati sulle braccia, e va sempre più giù, ti entra sempre più in profondità, si insinua tra i tuoi polmoni, si attorciglia e si attorciglia sempre di più, non ti fa respirare.
Rimani sospeso nel vuoto, e non comprendi perché non c’è niente da comprendere, non c’è un motivo, una spiegazione, non c’è, non c’è…

27 gennaio 1945.
E’ quindi per questo motivo che il 27 gennaio, in tutto il mondo (istituito con la risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1º novembre 2005 durante la 42ª riunione plenaria), si celebra il Giorno della Memoria, per commemorare tutte le vittime dell’Olocausto.

I lettori di Sfizi.Di.Posta già lo sanno, questa pagina ha la pretesa di raccontare storie del passato basandosi sempre sui documenti postali.
E proprio un documento postale ci racconta una di quelle storie, affidandocela quasi con amore filiale, la storia di un uomo su un treno verso i lager della morte.
Parliamo di una ‘comunicazione di cattura’.

E’ noto a tutti che i deportati diretti verso i campi venivano radunati e caricati su treni formati unicamente da carrozze bestiame, spesso senza avere il tempo di comunicare alla famiglia il proprio triste destino.

Accadeva quindi che lungo le tratte verso la Germania, nelle stazioni ferroviarie del nord (o in Veneto per i treni diretti a Tarvisio, o in Trentino per i treni diretti al Brennero), gente del posto si avvicinava ai vagoni con l’intento di raccogliere nomi e indirizzi dei prigionieri che venivano comunicati a voce attraverso le assi di legno dei vagoni o tramite pizzini improvvisati.

Con un senso di umanità e di civiltà senza pari, queste persone si occupavano poi di scrivere una lettera o una cartolina alla famiglia per informare loro della sorte del proprio familiare.

Il documento postale protagonista dello sfizio di oggi è una di quelle cartoline. Il bollo di partenza di Mattarello (provincia di Trento) reca la data del 19 ottobre 1943, ed è diretta alla signorina Maria abitante a Trenno, alla periferia di Milano.

«Mattarello 18-10
Gentil signorina
Un momento fa ricevetti la vostra gentil lettera, restai contenta che avete gia ricevuto la mia cartolina e che vi ha fatto così grande piaciere; ora il vostro caro fratello si trova in Germania, ma speriamo che stia bene, quando io lo vidi stava bene speriamo che sia tuttora; appena avrò da qualcuno qualche notizia non mancherò di avvisarvi.
Distinti saluti.
Anna»

Dagli elementi raccolti, non è detto che il fratello di Maria sia un civile destinato a un campo di sterminio.
Potrebbe invece essere un militare catturato dai tedeschi nel momento in cui, dopo l’8 settembre 1943, l’Italia divenne un nemico per la Germania, e quindi destinato a uno Stalag o un Oflag, un campo per prigionieri di guerra.

In un caso o nell’altro poco cambia dal momento che certi campi tedeschi per prigionieri di guerra non erano così tanto diversi dai campi di sterminio: se non era un forno crematorio o la camera a gas ad ucciderti, erano la fame, il freddo o 18 ore ininterrotte di lavori forzati a mandarti all’altro mondo.

Lo United States Holocaust Memorial Museum in una delle sue pagine web riporta che furono sei i milioni di ebrei trucidati durante l’Olocausto.
Ma a questo già enorme numero il museo a stelle e strisce aggiunge un altro numero, altrettanto enorme, di vittime sempre per mano tedesca:
Prigionieri di guerra sovietici: 3,3 milioni
Polacchi: 1,8 milioni
Politici: 1,5 milioni
Rom: 500.000
Serbi: 300.000
Disabili: 300.000
Etc.
Un totale complessivo che fa paura anche solo a scriverlo: quasi 14 milioni di persone.

Chissà se il fratello di Maria era tra questi, o meno.
Indipendentemente dalla sua sorte, oggi il pensiero di Sfizi.Di.Posta e spero di tutti i lettori va a tutte quelle vittime, senza distinzione di sorta, distinzioni che invece furono la causa principale di tutto quell’orrore.

Un occhio azzurro non vede meglio di un occhio marrone. Vedono entrambi. Ed è l’unica cosa che conta: vaglielo a raccontare a un cieco se importa il colore dell’occhio oppure vedere o non vedere.

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