Italo Giglioli e Giovanni Capellini.
Forse ai più questi due nomi non dicono nulla, ma sono i protagonisti della missiva di oggi, rispettivamente mittente e destinatario.
Anzitutto, diciamo che la missiva, una busta intestata alla Regia Università di Pisa – Istituto di Chimica Agraria, partì da Pisa il 19 ottobre 1918 in direzione di Spezia dove giunse lo stesso giorno per essere poi inoltrata a Portovenere (Genova) il giorno dopo.
A proposito di Spezia, apro una parentesi.
Come è possibile osservare, sulla busta è indicato “Spezia” e non “La Spezia”. Anche nel bollo postale al verso troviamo “Spezia”.
In realtà, i primissimi documenti in cui compare la città, il nome è senza l’articolo.
In epoca napoleonica l’articolo era invece presente sui bolli postali ed era presente anche la doppia zeta (“La Spezzia”). Dal Regno di Sardegna in poi si utilizzarono entrambe le versioni, con e senza l’articolo, generando confusione.
Con il Regio Decreto 2 ottobre 1930, n. 1402 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.256 del 3.11.1930) vennero accolte le istanze del comune e della provincia, rettificando definitivamente la denominazione del comune di Spezia in “La Spezia” rispondendo così alla “alla tradizione storica e all’uso locale”.
Chiusa parentesi.
Torniamo a noi e vediamo un po’ più da vicino chi erano i due protagonisti del nostro ‘sfizio’ di oggi, partendo dal mittente, Italo Giglioli.
Italo Giglioli nacque a Genova l’1 maggio 1852. Compì gli studi tra l’Italia e Londra dove il padre, fervente mazziniano, si era rifugiato in esilio.
Tornato in Italia, dopo una breve parentesi a Torino, nel 1877 venne chiamato a ricoprire l’insegnamento della Chimica agraria presso la Reale Scuola Superiore di Agricoltura di Portici (Napoli) della quale ne divenne Direttore nel 1889.
Sempre nel 1877 aprì un laboratorio nel quale si potevano richiedere analisi di terreni, di acque, di concimi, farine, etc. Giglioli, che lo diresse per 25 anni, lì approfondì alcuni studi sulle colture del frumento e del granturco. Nel 1898 il laboratorio divenne Regia stazione agraria sperimentale.
Nel 1902 si trasferì a Roma per dirigere la Regia stazione chimico-agraria sperimentale di Roma.
Ma quella romana è una breve parentesi perché già nel 1904 si trasferì a Pisa in quanto nominato professore di Chimica agraria nella Scuola Superiore di Agraria dell’Università di Pisa.
Nella città toscana morì l’1 ottobre 1920.
E veniamo al destinatario, Giovanni Capellini.
Che fosse Senatore del Regno (la nomina è del 1890) lo leggiamo già dalla busta, ma Capellini viene ricordato per ben altri meriti.
Nacque a La Spezia il 23 agosto 1833. Dopo un’adolescenza non proprio serena tra le scelte imposte dal padre e le proprie attitudini, che mai collimarono, si avviò agli studi di geologia prima a Pontremoli e quindi a Pisa dove nel 1858 conseguì la laurea.
Nella sua lunga carriera di geologo, Capellini effettuò studi e indagini sul monte Pisano, sulla Montagnola Senese, a Castellina, Marittima, a Montecatini, sui Lagoni di Montecorboli e sulle Alpi Apuane, nonché sul ‘suo’ golfo spezzino, con particolare attenzione alla fauna dell’Infralias.
Non contento della sua preparazione, volle approfondire le sue conoscenze andando per alcuni anni all’estero finché nel 1861 venne chiamato a ricoprire la cattedra di geologia all’università di Bologna, a soli 28 anni.
A Bologna insegnò geologia, diresse l’istituto, promosse la creazione del museo (che porta infatti il suo nome), favorì rapporti e relazioni con tutto il mondo accademico mondiale.
Nel 1881 organizzò e presiedette il secondo congresso geologico internazionale le cui risultanze sono considerate ancora oggi capisaldi fondamentali soprattutto per la geologia stratigrafica.
In quell’occasione, inoltre, insieme a Quintino Sella e Felice Giordano si concretizzò l’idea di fondare la Società Geologica Italiana.
Il 28 maggio 1922 si spense in Bologna.
Quindi, in definitiva, nel 1918 abbiamo un chimico agrario che scrive a un geologo.
Per quale motivo, visto che la lettera all’interno della busta è mancante?
I motivi possono essere effettivamente tantissimi, a tal punto che superfluo sarebbe iniziare anche a provare a buttare giù un elenco di ipotesi.
Sta di fatto che abbiamo davanti due eminenti studiosi che, in quell’epoca e con i pochissimi mezzi a disposizione (rispetto a quelli odierni), hanno avuto intuizioni mirabolanti.
Se oggi siamo bravi e fighi lo dobbiamo a persone come Italo Giglioli e Giovanni Capellini.
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