QUANDO PISTICCI ERA TERRA DI CONFINO…

QUANDO PISTICCI ERA TERRA DI CONFINO…

Pisticci è un comune di circa 15.000 abitanti in provincia di Matera. Territorio di pietre, sassi e calanchi, Pisticci non esula da questo contesto geomorfologico essendo stato più volte nel tempo interessato da imponenti frane.

Pisticci non è tuttavia ricordato solo per le frane, per il Tempio di Hera e per il petrolchimico Anic, ma anche per il suo noto liquore.
Il famoso Amaro Lucano (pubblicità gratis!) che tutti conosciamo è prodotto proprio dalla rinomata ditta del Cavalier Pasquale Vena e Figli, appunto di Pisticci, e non a caso sull’etichetta è raffigurata una sorridente fanciulla che veste l’abito tradizionale femminile pisticcese.

Ma ritornando sobri, Pisticci è nota però anche per un periodo buio che l’ha caratterizzata, quando cioè fu sede di confino politico.

Il primo arrivo a Pisticci di un confinato (sebbene in questo caso sarebbe meglio parlare di domicilio coatto piuttosto che di confino politico) risale al 1925. Tre anni dopo, quindi a valle della promulgazione delle leggi fascistissime che introdussero il confino di polizia, iniziarono ad arrivare a Pisticci confinati con maggiore regolarità.

I confinati (principalmente antifascisti e testimoni di Geova) dovevano provvedere da sé ad una sistemazione: c’è chi riuscì ad affittare casa, chi si fece ospitare, chi trovò alloggio nelle locande. I meno abbienti, e coloro che arrivarono più tardi, non trovando sistemazioni adeguate, si adattarono anche in casolari diroccati.

Tuttavia, ciò era in forte contrasto con quanto prescritto per il confino di polizia che vietava, tra le tante cose, gli assembramenti. E, di certo, la sera, presso le locande, di assembramenti ce ne furono non pochi.
Molti, inoltre, non si diedero affatto a stabile lavoro, sebbene questa fosse la prima norma che i confinati avrebbero dovuto rispettare.

Tutto ciò indusse il locale podestà a segnalare la cosa. Il capo della Polizia fascista in persona, Arturo Bocchini, e quindi con diretta dipendenza dal Ministero dell’Interno, trovò la soluzione: visto che le aree circostanti Pisticci erano paludose, insalubri, per nulla fertili, i confinati avrebbero provveduto con le loro braccia a risanare quel territorio, sulla scorta di quanto fatto già in diverse parti d’Italia.
In tal modo, si bonificavano le terre, e anche le persone.

L’area in questione venne individuata in contrada Bosco Salice, in località Tinchi, su una superficie estesa circa 2500 ettari.

I confinati residenti a Pisticci paese, quindi, potevano richiedere il trasferimento presso la Colonia agricola di Bosco Salice, ma ciò veniva concesso solo dietro accurate visite mediche di idoneità al lavoro manuale, visite che avvenivano anche successivamente con regolarità.
Chi non veniva trovato idoneo veniva rispedito a Pisticci paese.

I confinati (alla fine se ne conteranno circa 1500 in tutto) vennero quindi coattivamente impiegati dalla ditta “Eugenio Parrini e Figli” in lavori di disboscamento e bonifica, ma soprattutto in opere di edificazione.

Ai confinati di Bosco Salice veniva riconosciuto un indennizzo di 10 Lire al giorno, 5 Lire in più dei confinati di Pisticci paese.
In compenso, i confinati di Bosco Salice (unico caso in Italia) avevano diritto alla riduzione di un terzo del periodo di confino per il tempo trascorso nella predetta colonia: 4 mesi di pena in meno ogni anno trascorso in colonia.

In quest’area, quindi, a beneficio della popolazione locale (che mostrò sempre rispetto e solidarietà nei confronti dei confinati), costruirono Villaggio Marconi (la prima pietra venne posta il 18 giugno 1938), poi semplicemente Marconia, in onore del celebre scienziato italiano, e i “casoni” entro cui i confinati stessi alloggiavano.

Tutte queste informazioni le ho tratte da “La colonia confinaria di Pisticci“, di Giuseppe Coniglio (edito in proprio nel 1999), a cui naturalmente rimando per tutti gli approfondimenti del caso.

Tra coloro che chiesero il trasferimento da Pisticci paese alla colonia agricola di Bosco Salice, e che non vennero rimandanti indietro, figura il professor Edoardo Chendi. Di lui, riporto quanto ne scrive Coniglio nel volume suddetto.

Edoardo Chendi di Rovigo fu tenuto in grande considerazione, non solo per le due doti di abile pittore e ritrattista ma anche per la bontà e per l’affabilità che dimostrava con tutti. Di origini polesane, Chendi, nato il 14 novembre 1906, fu perseguitato dal regime sin da quando frequentava l’Accademia di Belle Arti a Bologna, dove professava e diffondeva le sue idee marxiste e, per questo, fu ostacolato nella sua promettente carriera ed escluso dai più importanti concorsi artistici. Più volte in prigione, fu condannato a quattro anni di confino dalla commissione provinciale di Rovigo, con ordinanza del 13.10.1937 per attività antifascista, e quindi inviato prima a Pisticci centro, dove trovò alloggio in via Osannale, nel locale tenuto in fitto dal confinato Ugo Federzoni, e poi nella colonia agricola, dove lavorò intensamente, sempre amato dai compagni e dalla gente comune, ma per lui fu sempre raccomandata attente e diligente misura di vigilanza. Venne, comunque, autorizzato a tenere corrispondenza con alcuni familiari, tra cui la zia Italia Meneghini. Realizzò molti dipinti, che andarono ad abbellire le case pisticcesi, tra cui paesaggi, ritratti, dolci volti di Madonne, nature morte, soggetti che prediligeva.
Nel 1941, rientrato dal confino, fece parte del Comitato di Liberazione, in rappresentanza del Partito Comunista Italiano, sino al 1945, anno in cui fu nominato presidente dell’Istituto Autonomo Case Popolari e vicesindaco di Rovigo, carica che mantenne per venti anni. Nella lotta partigiana fu sempre in prima linea, tanto da essere considerato come esempio di grande coraggio, per cui fu in seguito eletto presidente provinciale onorario dell’Anppia. Riprese, dopo la guerra, la sua attività di docente di disegno prima nelle Scuole Medie e poi all’Istituto Magistrale di Rovigo, dedicandosi, nei momenti liberi, alla scultura ed alla pittura. Si spense nel giugno 1993 all’età di 87 anni, lasciando un grande vuoto nella sua città.

Edoardo Chendi è presente nel Fondo Confinati Politici conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato, alla busta n. 1283.
Nella stessa busta è anche presente una foto:
http://dati.acs.beniculturali.it/media/CPC/foto/C09921.jpg

E proprio a questo punto del racconto si inserisce il primo pezzo che voglio mostrarvi oggi.
Si tratta di una normalissima cartolina di auguri di Natale, affrancata con un banale francobollo da 20 centesimi del periodo, e spedita da Rovigo a Pisticci il 21 dicembre 1939.

Il testo, anch’esso banale:
«Baci infiniti, Italia. Natale 39»
Semplice, ma corretto per usufruire della tariffa postale agevolata per cartoline illustrate con massimo 5 parole, appunto di 20 centesimi.

Destinatario: il Prof. Edoardo Chendi di cui abbiamo appena parlato.
Mittente: Italia Meneghini, la zia.

Come è possibile notare, non vi sono bolli censura, non vi sono riferimenti al confino politico.
Ma allora a Pisticci la censura postale non venne applicata, così come nelle altre sedi di confino politico che abbiamo sinora visto?

Tutt’altro.
E’ possibile, sì, che la censura postale non fosse in vigore, che non vi fossero dei timbri ad essa dedicati, ma il controllo postale avveniva eccome.
Ce lo conferma lo stesso Coniglio nel già citato volume.

Sulla corrispondenza veniva esercitato uno strettissimo controllo: tutte le lettere dovevano essere presentate aperte, al podestà se il confinato dimorava a Pisticci, ed all’ufficio di polizia del campo per i residenti nell’ambito della colonia. Ma alcuni confinati trovarono la maniera di eludere la sorveglianza, facendo arrivare la corrispondenza presso amici e conoscenti oppure con la compiacenza di qualche addetto al campo. Tali sotterfugi non sfuggirono all’attenzione della Prefettura che con circolare n. 0764 del 24 settembre 1934 avvisò il podestà di Pisticci ad esercitare maggiori e continui controlli.

Ed è difatti ciò che avvenne.
Una volta giunti a Pisticci, veniva effettuato il riconoscimento delle generalità del confinato da parte dell’ufficiale di turno il quale provvedeva alla consegna della “Carta di permanenza”, una sorta di documento di identità del confinato ove erano riportate tutte le prescrizioni e che doveva sempre portare con sé, giorno e notte.

Una delle prescrizioni riguardava proprio la posta. Si tratta della prescrizione n. 12, ma vale la pena riportarle tutte.

1 – Darsi a stabile lavoro, nei modi indicati dalla Direzione della Colonia, e serbare buona condotta morale e politica, senza dar luogo a sospetti.
2 – Non varcare il limite del confino.
3 – Non cambiare il posto di mensa, l’abitazione, o il posto di dormitorio assegnati da questa Direzione senza la preventiva autorizzazione.
4 – Non rincasare la sera più tardi, e non uscire il mattino più presto dell’orario precisato dall’art. 348 Reg. Esec. Legge di P. S.
5 – Presentarsi tutti i giorni dalle ore e nelle località stabilite dalla Direzione per gli appelli (piazzale dormitorio) rispondendo alla chiamata con la parola presente pronunciata con voce alta ed intelligibile. Presentarsi entro dieci minuti agli appelli straordinari, ogni qualvolta la Direzione li farà eseguire mediante apposito segnale.
6 – Non detenere o portare armi proprie, o strumenti atti ad offendere; non detenere o portare ferri di lavoro che rientrano nella categoria degli strumenti atti ad offendere, senza la esplicita autorizzazione scritta di questa Direzione la quale ne preciserà la qualità e la quantità consentita, designando il luogo ove debbono essere depositati dopo l’uso.
7 – Non frequentare postriboli, osterie od altri pubblici esercizi; non partecipare a pubbliche riunioni, e non assistere a spettacoli o trattenimenti pubblici.
8 – Non detenere o far uso di apparecchi per trasmissioni o segnalazioni ottiche, acustiche, o radio-telegrafiche, o di macchine per riproduzione di caratteri e disegni.
9 – Non accedere in abitazioni private.
10 – Non usufruire o prendere in fitto locali per abitazioni o laboratorio, senza esplicita autorizzazione di questa Direzione.
11 – Non permettere ad altri l’accesso nel laboratorio o nell’abitazione privata, di cui alla precedente prescrizione, senza permesso scritto dalla Direzione.
12 – Non spedire o ricevere corrispondenza e pacchi di qualsiasi genere, se non per tramite di questa Direzione e non acquistare o detenere riviste-libri o manoscritto, se non preventivamente autorizzati e vistati da questa Direzione.
13 – Non alienare, deteriorare o distruggere gli indumenti e gli oggetti di casermaggio forniti dall’Amministrazione, e non imbrattare le pareti del dormitorio o dell’abitazione assegnata.
14 – Osservare rigorosamente il silenzio nelle ore di riposo prescritte da questa Direzione.
15 – Portare sempre con se la carta di permanenza, ed esibirla ad ogni richiesta degli Ufficiali ed Agenti della Forza Pubblica.
16 – Presentarsi negli uffici di questa Direzione ed in quelli dei CC. RR. ogni qualvolta invitati a capo scoperto, ed abbigliati compostamente.
17 – Non contrarre debiti con chicchessia.
18 – Non giuocare a carte né detenere carte da gioco.
19 – Non usar nelle conversazioni lingue estere.
20 – Osservare rigorosamente tutte le disposizioni che la Direzione crederà opportuno emettere per la disciplina e ordinamento della Colonia.

E proprio una “Carta di permanenza” è il secondo documento che presento oggi.
Si tratta del Modello n.52 come determinato dall’Art.185 della Legge di P.S. in vigore, predisposto della Antonio Antinori, storica legatoria di Roma.
Il libretto, delle dimensioni all’incirca di un passaporto, si chiude con una fettuccia di raso dello stesso colore della copertina rigida.

Venne rilasciato a Pisticci il 9 novembre 1940, e presenta il bollo della “DIREZIONE COLONIA CONFINO – PISTICCI” con al centro uno stemma sabaudo.
Verosimilmente, venne firmato dall’ufficiale di P. S. in quel momento addetto, dal momento che la firma del direttore della colonia, Ercole Suppa, sarebbe stata riconoscibile.

La carta venne rilasciata a Oscar Corazzini, nato a Massa il 12 maggio 1902, assegnato al confino politico a Pisticci con ordinanza del 10 ottobre 1940 dalla Commissione della provincia di Apuania (come venne chiamata, tra il 1938 e il 1946, la provincia di Massa Carrara).

Nel Fondo Confinati Politici è presente alla busta n.1467.
Di colore politico comunista, marmista scalpellino, venne inizialmente condannato a 6 mesi di carcere per aggressione a un fascista. Scontata la pena, venne quindi confinato e liberato soltanto alla caduta del regime il 15 luglio 1943.

Nella “Carta di permanenza” di Oscar Corazzini non vi sono riportati connotati personali o speciali prescrizioni.
In fondo al libretto, però, è incollato un foglio, più volte ripiegato su sé stesso, che riporta tutte le prescrizioni della colonia sopra trascritte e, in basso, ancora bollo e firma dell’ufficiale di P. S., nonché firma del confinato.

In tutta onestà, devo dire che fa un certo effetto tenere tra le mani questo libretto. La corrispondenza, è vero, è passata per le mani delle persone, e quindi già toccarla provoca un certo senso di inibizione.

Ma questo libretto ha accompagnato la vita di un uomo per tre anni.
Per ben tre anni questo libretto sarà stato tutti i santi giorni, mattina, pomeriggio e sera, nella tasca dei pantaloni, della giaccia o della camicia di quest’uomo.
Non posso non pensarci. E rabbrividisco.

Come detto, alla caduta del fascismo nel luglio-agosto 1943 tutte le condanne al confino politico decaddero automaticamente.
Più tardi, il campo di Pisticci venne utilizzato anche come Centro Profughi: fenomeni di riconversione di strutture già esistenti furono infatti comunissimi in ogni parte d’Italia. Ma questa è un’altra storia.

Il confino politico rimase e rimane nella memoria di tutti i pisticcesi.
Il luogo dove i confinati costruirono la colonia ancora oggi si chiama Centro Agricolo.
Il 1° giugno 1980 a Marconia è stato inaugurato il monumento al confinato politico raffigurante un contadino, un operaio e un intellettuale uniti nella lotta per la libertà, opera dell’architetto napoletano Raffaele Fienca.

Alla base è incisa la seguente iscrizione:
“CONFINATI NELL’ERA DEL FASCISMO | PISTICCI GENEROSA | LI ACCOLSE NELLA SVENTURA | UOMINI LIBERI. ESSI DIEDERO ALLA NOSTRA CITTA’ | LAVORO, FRATERNITA’ CIVILE, CORAGGIO. | IL COMUNE MEMORE. | MAGGIO 1980.”
Per non dimenticare.

Bibliografia
Carlo Spartaco Capogreco, “I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943)“. Einaudi, Torino, 2004.
Giuseppe Coniglio, “La colonia confinaria di Pisticci“. Edit. in proprio, Metaponto (MT), 1999.
Giuseppe Coniglio, “Il Ventennio Fascista a Pisticci“. Edit. in proprio, Bernalda (MT), 2004.
Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, “L’Italia al confino 1926 1943. Voll. 1, 2, 3, 4“. La Pietra, Milano, 1983.

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