LA COLPA E’ SEMPRE VOSTRA!

LA COLPA E’ SEMPRE VOSTRA!

Lucera (Foggia), 12 settembre 1947.
La ditta Rag. Umberto Mastromatteo, rivenditore di macchine agricole e industriali, ricambi per macchine, ferramenta e colori, deposito lubrificanti, scrive alla ditta Alfredo Zappelli di Otello con sede a Jesi.

Il tenore del testo della cartolina è tutt’altro che sereno.
«La mia del 7 corr. non ha avuto risposta.
Come vedete voi vi state mettendo in continuo difetto.
Da queste parti la vendemmia è già in atto, e se fate passare altri pochi giorni di pigiatrici non ne dovete più parlare. Ogni Vs. eccezione viene rimossa, inquantoché voi non vi siete mai decisi darme benestare alle mie controfferte di prezzi, come vedete la colpa è sempre Vs.
Attendo una Vs. decisione entro e non oltre il 15 corr. dopo tale data mio malgrado dovrò rinunziare al ritiro di quanto ebbi a chiedervi.
Attendo leggervi con la massima urgenza e distintamente vi saluto.»

Il territorio di Lucera e dintorni è a fortissima vocazione agricola.
Il grano del Tavoliere è il vero oro di questa porzione della Puglia, ma anche la produzione di olio e vino non scherzano.
Di questa zona è infatti il vitigno autoctono “Nero di Troia”, localmente detto “Sumarello”, originario della vicina cittadina di Troia, sempre in provincia di Foggia con territorio confinante con quello di Lucera.

Questo vitigno entra prepotentemente nella realizzazione di un vino tipico di Lucera che prende il nome di “Cacc’e Mmitte”, tradotto letteralmente “togli e metti”.

L’origine del nome è un po’ controversa.
Alcune fonti indicano che il nome tragga origine dall’antica modalità di vinificazione.
All’epoca erano in pochi a possedere i palmenti provvisti delle vasche per la pigiatura dell’uva. Chi voleva quindi realizzare il proprio mosto, affittava il palmento ma le operazioni andavano concluse entro la giornata. Per cui quando un vinificatore toglieva il suo mosto (“Cacce”), il vinificatore successivo metteva la sua uva (“Mmitte”).

Altre fonti, invece, indicano che la denominazione è da attribuirsi alla tradizione locale di versare (“Cacce”) il vino direttamente dalla sua botte, ricolmandola (“Mmitte”) dopo il prelievo.

Qualsiasi sia l’origine del nome, oggi il “Cacc’e Mmitte” è DOC.
In base al Disciplinare di produzione approvato con Decreto Presidente della Repubblica 13 dicembre 1975 (Gazzetta Ufficiale n.82 del 29.3.1976), il «vino a DOC “Cacc’e mmitte di Lucera” deve essere ottenuto dalle uve provenienti dai vigneti composti dai seguenti vitigni nella percentuale appresso indicata:
Uva di Troia (localmente detta Sumarello) dal 35 al 60%;
Montepulciano, Sangiovese, Malvasia nera di Brindisi, da soli o congiuntamente dal 25 al 35%;
Trebbiano toscano, Bombino bianco e Malvasia Bianca e/o Bianca Lunga, da soli o congiuntamente dal 15 al 30%.»

Non solo. «Le uve devono essere prodotte nella zona di produzione che comprende tutto il territorio amministrativo dei comuni di: Lucera Troia Biccari in provincia di Foggia.»

Per produrre questo vino, quindi, servivano al Rag. Mastromatteo le pigiatrici che la ditta di Jesi non riuscì a consegnare in tempo.
E, certamente, anche la vendemmia ha i suoi tempi, così come qualsiasi coltivazione vegetale o produzione animale. La natura non attende.

Vediamo appuntato a matita che la ditta di Jesi rispose il 19 settembre, tre giorni dopo aver ricevuto la cartolina il 16.
Ma se Mastromatteo scrisse il 12 settembre, dicendo che era già tardi, e la ditta di Jesi rispose dopo una settimana, quello fu un ulteriore tempo perso.
Legittima, quindi, era la lamentela del Mastromatteo: quasi sicuramente non se ne fece nulla.
Del resto, Mastromatteo si era rivolto non al ferramenta dietro casa…

Come riportato su G. Luconi e P. Cocola, “Conoscere Jesi” (Arti Grafiche Jesine, Jesi, 2007), nel 1884 Alfredo Zappelli aveva fondato la prima fabbrica jesina di macchine agricole. Dei suoi tre figli solo Otello, nella prima metà degli anni Venti, era rimasto con il padre, al quale succedette caratterizzando la ragione sociale dell’azienda con le sue iniziali (Z.O.).

Con la morte di Otello, la ditta andò perdendo quote di mercato fino alla cessazione dell’attività. La conduzione di Alfredo figlio di Otello deve essere stata probabilmente l’ultima prima della chiusura.

Mastromatteo, senza pigiatrici, rinunciò a fare il vino quell’anno?
Sicuramente no, avrà risolto in qualche modo.
Per cui… Prosit, caro Rag. Umberto!

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