LIBERAZIONE!

LIBERAZIONE!

Domani 25 aprile è la Festa della Liberazione.
Ultimamente e ogni anno sempre un pochino di più, in occasione della Festa della Liberazione la contrapposizione politica tra destra e sinistra assume toni sempre più accesi: chi la festeggia, e chi no e preferisce festeggiare San Marco affermandolo a gran voce, anche sui social, quasi a volersi auto-determinare.

Comunque la si pensi, la Festa della Liberazione è una festa nazionale istituita con Decreto Legislativo Luogotenenziale n.185 del 22 aprile 1946 che all’art.1 recita:
«A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale.»

Fu “liberazione” naturalmente dal nazi-fascismo.
Ed è chiaramente una data simbolo dal momento che il 25 aprile 1945 non terminò la guerra, che invece formalmente si concluse il 2 maggio con la “Resa di Caserta” firmata il 29 aprile, né tutta l’Italia era liberata.

E’ una data simbolo perché il 25 aprile 1945 tutte le forze partigiane del Nord Italia in modo coordinato attaccarono, al grido di “Arrendersi o perire!“, tutti i presidi fascisti e tedeschi, imponendo la resa ancor prima dell’arrivo degli Alleati.

Naturalmente non fu liberazione per tutti quel giorno.
Tanti Italiani, prigionieri di guerra in quanto militari o internati civili in quanto civili, si trovavano ancora nei campi gestiti dagli Alleati, e alcuni vi rimarranno ancora per molto tempo.
I civili, i prigionieri di guerra e gli I.M.I. trattenuti dai nazisti e liberati in quei giorni o in quelle settimane, transitando e vagando per l’Europa, cercavano di rientrare in patria.
Altri ancora che sino al giorno prima si trovavano sul suolo italiano si trovarono, dall’oggi al domani, su suolo straniero.

Però, certo, seppur con velocità e tempi diversi, la guerra era finita e pian piano ogni situazione si sarebbe normalizzata.

Ed è a questo punto che entra da protagonista il documento postale che voglio mostrarvi in questo ‘sfizio’.
Si tratta di una missiva scritta il 6 maggio 1945, quindi 4 giorni dopo la fine della guerra, ma postalizzata il 10 giugno 1945, oltre un mese dopo!

Si tratta di una missiva spedita da un prigioniero di guerra, e a dircelo è il mittente stesso che al recto del piego scrive di suo pugno “Prisoner of War Post – Postage Free – Written in Italian” appena sopra l’indirizzo del destinatario, la Sig.ra Maddalena che vive a Messina.

Anche questa missiva, quindi, come tutta la corrispondenza dei prigionieri di guerra e degli internati civili, in virtù dell’Art.38 della Convenzione di Ginevra del 1929, godeva del diritto di viaggiare in esenzione di tassa, senza essere affrancata.
E anche questa missiva venne controllata dalla censura: al recto vediamo chiaramente apposto il bollo di censura postale “P/W MIDDLE EAST 164”.

Che il mittente sia un prigioniero di guerra è ulteriormente ribadito al verso del piego dove annota le sue generalità e il suo attuale ‘domicilio’:
Matr. 247617 – Sol. Crisafulli Amelio – Campo 309“.

Il numero del campo di prigionia, 309, è riportato anche nel bollo lineare con la data di spedizione, “309 P.W. CAMP – 10 JUN 1945 – M.E.F.” (Middle East Forces, Forze del Medio Oriente).
Dove si trovava?

Il campo n.309 era allestito a El Qassasin, una località 35 km ad Ovest da Ismaila e dal Canale di Suez, in Egitto.
Il campo era attivo già da alcuni anni, almeno dal 1941, e ‘ospitò’ svariati Italiani, sia stanziali ma soprattutto in transito verso altri campi. Molti reduci da El Alamein furono inviati al campo 309.

Roberto Tiberi, prigioniero di guerra al campo 309, così ricorda quell’esperienza nella sua autobiografia “Un ragazzo del ’21” (Memori, Roma, 2006):
«Ci portarono poi al Campo 309 di El Qassasin che era fornito anche di un ospedale e qui rimanemmo per alcuni mesi. Ricordo il 309 per la fame che vi soffrimmo, per l’implacabile sole cocente che arroventava la sabbia e per il gran numero di falchi che volteggiavano in cielo. […]
Era una vita monotona e priva d’ogni possibilità d’interessi. Sveglia presto, caffellatte e la conta: rituale che abbiamo dovuto subire ogni giorno e che puntualmente ti ricordava che eri, ormai, soltanto il prigioniero numero 177150.»

E, ancora, Gino Compagnoni, paracadutista del IV Battaglione catturato ad El Alamein, così descrive il campo 309:
«Al mattino non si mangia; a mezzogiorno formiamo code interminabili per ricevere 4 biscotti (simili agli attuali crackers) e una tazzina di un liquido che sembra tè.
Alle 17.30 aprono per mezz’ora l’unico rubinetto che dà acqua ai 600 prigionieri del mio recinto. Assisto a scene vergognose e risse furibonde. È più l’acqua che finisce nella sabbia che quella che può essere bevuta. Alle 18.00 la cena, ed il menù non cambia.
Il lavatoio è sempre disponibile, ma dai tre rubinetti e dall’unica doccia esce un filo d’acqua di colore verdastro; lo stanzone non è illuminato, il pavimento è coperto da fango viscido, anche per gli escrementi che lo ricoprono. […] La latrina è una fossa lunga circa dieci metri, profonda tre, larga due, ed è attraversata da cinque travi larghe circa 30 cm. Questa fossa serve per 600 persone; diventiamo tutti equilibristi e fortunatamente, non mi risulta che qualche malcapitato sia mai caduto nella fossa.»

Insomma, appare chiaro che l’ambientino non era certo dei migliori.

Ma come sempre accade con Sfizi.Di.Posta quel che conta davvero è il contenuto della missiva.
Leggiamola insieme.

«Mamma carissima. Ho ricevuto ieri la tua del 4-3, è proprio quella lettera dove mi parli del povero Serranò. Questa notizia mi ha proprio addolorato tanto. Io gli avevo scritto giorni fa dicendogli che mi trovavo in Egitto prigioniero dagli Inglesi e che speravo di rivederlo presto. Se la tua mi fosse arrivata in tempo non gli avrei certamente scritto a lui ma bensì alla sua famiglia facendo le mie condoglianze, ormai la lettera è partita e non posso far niente per non farla arrivare a destinazione. In questi giorni cercherò di scrivere un biglietto di condoglianze alla sua famiglia e li dirò anche come sono andate le cose. Io mi trovo in un altro campo in attesa di partenza, il mio indirizzo lo trovi scritto sopra. Saluti per gli amici tutti, baci cari per le mie sorelle e tanti abbracci per te. Tuo aff.mo figlio, Amelio.»

Al di là del disguido sulle condoglianze non inviate (che ci interessa fino a un certo punto), quel che importa invece è la frase “mi trovo in un altro campo in attesa di partenza“. A conferma del fatto che il campo 309 fosse anzitutto un campo di transito per altre destinazioni.

Ma qual era la destinazione del soldato Amelio?
Un altro campo o il rientro in patria?
Lasciamo adesso il campo delle certezze ed entriamo in quello delle ipotesi.

Se la missiva è datata 6 maggio 1945, e la guerra in Europa era terminata il 2 maggio, appare un po’ improbabile che Amelio fosse già destinato al rientro in patria.
Ricordiamo che i rimpatri iniziarono sì nel 1945, ma si protrassero sino al 1947.

E’ più plausibile, quindi, l’ipotesi che Amelio fosse destinato a un altro campo. Da lì, da Suez, partivano i transatlantici requisiti per dislocare i prigionieri di guerra in India e in Australia.
Può darsi che fosse questa la destinazione di Amelio.

Ho comunque per scrupolo cercato nell’elenco dei deceduti e dispersi della Seconda guerra mondiale fornito dal Ministero della Difesa, e Amelio non risulta.
Quindi tornò a casa.
Quando non si sa, ma tornò a casa.
Prima o poi, fu “liberazione” anche per lui.

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