Fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’Italia aveva perso la guerra, e come sempre accade a valle di una guerra i vincitori si spartiscono il bottino. Ci andarono di mezzo alcune terre di confine e i possedimenti colonici. In alcuni casi per costrizione, in altri per scelta, centinaia di migliaia di persone dalla Grecia, dall’Africa, dall’Istria e dalla Dalmazia giunsero nella penisola con lo status di ‘profugo’.
Italiani che tutt’a un tratto persero tutto, meno che la dignità.
Al Ministero dell’Interno e al Ministero dell’Assistenza Post-bellica sorse quindi il problema di fornire a tutta questa gente un alloggio immediato, in attesa di una sistemazione più o meno definitiva.
Il Ministero dell’Assistenza Post-bellica (istituito il 21 giugno 1945 e soppresso il 14 febbraio 1947 quando le sue competenze vennero suddivise su più dicasteri) coordinava l’attività di ricerca dei dispersi e di rimpatrio dall’estero, dei profughi, degli internati e dei prigionieri italiani, gestiva i 109 Centri di Raccolta Profughi, costruiva alloggi destinati ai connazionali assistiti, erogava generi di prima necessità, si occupava del reinserimento lavorativo dei reduci di guerra anche offrendo loro posti di lavoro nella pubblica amministrazione, forniva assistenza sociale e sanitaria, si occupava dei riconoscimenti ai partigiani e a chi si era distinto in guerra.
Vennero quindi creati i cosiddetti CRSP, “Campi di raccolta e smistamento profughi”, ovvero luoghi dai quali, dopo una sosta di pochi giorni, i profughi partivano per la destinazione assegnata non in base al desiderio di ciascuno ma alle disponibilità ricettive delle varie strutture della penisola.
Comune a tutti i campi era il senso di precarietà e incertezza che pervadeva in poco tempo ogni persona. Al di là delle condizioni igienico-sanitarie a limiti della decenza, vi era una totale mancanza di privacy. Nelle situazioni più fortunate gli spazi di pochi metri quadrati erano separati da coperte, lenzuola o barriere di compensato.
I CRSP più grandi e attivi erano ubicati a Bologna, Trieste, Udine, Laterina, Modena, Calambrone, e nella quasi totalità dei casi erano ex campi di concentramento (con ancora tanto di filo spinato) poi riadattati alla nuova esigenza o ex caserme.
A Frosinone vi erano due strutture diverse.
Una prima struttura era ubicata “alla stecina“, ovvero nella zona della stazione, in via Marittima II, l’attuale via Licinio Refice. Era un grande palazzone a forma di elle, che la gente del posto chiamava “palazzo degli sfollati”.
Nei primi due piani era un normale condominio, mentre il terzo e ultimo piano era caratterizzato da lunghissimi corridoi (lungo i quali i bambini del posto si divertivano a correre) da cui si accedeva a ‘mini appartamenti’ (in realtà, singole stanze) in cui erano accolte famiglie di profughi.
Le planimetrie dettagliate a scala 1:100 dei tre piani dell’edificio sono attualmente conservate presso l’Archivio di Stato di Frosinone, Numero d’ordine 13 (ex 86).
Testimoni dell’epoca raccontano che erano presenti per lo più famiglie russe, africane, rumene, e soprattutto tanti sfollati dal Cassinate (pesantemente, lo ricordo, bombardato nel 1944).
Un locale era inoltre adibito a Direzione del centro. Sempre dalle stesse fonti testimoniali dirette si apprende della presenza di un direttore, tale Ivo Sampaoli, democristiano convintissimo.
Il palazzo, nel tempo, è stato oggetto di diverse ristrutturazioni, e dopo aver ospitato una scuola è oggi un normalissimo condominio.
Una seconda struttura, dove erano presenti famiglie per lo più provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia, era invece ubicata al campo sportivo.
Di questa struttura ho recuperato notizie un po’ contraddittorie, e per tale ragione preferisco evitare di fornirle.
Verrebbe da pensare, stante anche la vicinanza territoriale, che i profughi che transitarono da Frosinone venissero poi destinati a Fraschette, il grande CRSP di Alatri, ma in quest’ultimo (fatta eccezione per le famiglie anglo-maltesi provenienti dalla Libia) giunsero esclusivamente singoli profughi, non famiglie.
In questo contesto si inserisce il pezzo che mostro oggi, una raccomandata spedita il 20 luglio 1949 da Frosinone, correttamente affrancata per 55 Lire (20 Lire per la tariffa ordinaria e 35 Lire per quella di raccomandazione), e recante (sia sulla busta che sulla missiva in essa contenuta) il bollo lineare su due righe:
CENTRO SMISTAMENTO PROFUGHI
FROSINONE (SCALO)
Si tratta di una lettera indirizzata alla ditta Ascenzio Chiappini, di Frosinone, per sollecitare la presentazione delle fatture originali al fine di dare corso ai relativi pagamenti.
Oggetto della fatturazione: generi alimentari.
Quelli che venivano evidentemente distribuiti ai profughi presenti nel campo.
Nel testo è infatti chiaramente indicato che i viveri sono quelli destinati al “Centro Profughi Campo Sportivo”, ma la raccomandata come detto è spedita da “Frosinone Scalo”, ovvero dalla zona della stazione, dove appunto era ubicato il “palazzo degli sfollati” e dove appunto era ubicata la Direzione del centro: è infatti la Direzione che scrive.
A ulteriore conferma della presenza delle due strutture è la firma della missiva, del dott. E. Contardi “IL DIRETTORE DEI CENTRI”, al plurale.
Va notato che sia sulla busta che sulla missiva è stato inoltre apposto un altro bollo, circolare, con dicitura “ASSISTENZA POST-BELLICA”.
Altro particolare che va notato è la presenza di numerosi errori nel testo dattiloscritto, corretti velocemente a penna. Normalmente, una lettera come quella sarebbe stata dattiloscritta daccapo, ma evidentemente la situazione non proprio serena non lo consentiva.
Infine, l’appunto al verso sulla busta. Sembrerebbe un seguito a quanto richiesto dalla direzione del campo. Non soltanto la ditta dovette rispondere producendo le fatture originali per Lire 700 (per le “spese vitto tornate indietro“), ma contestualmente approfittò per vendere 40 kg di olio a Lire 350.
Due piccioni…
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