Garibaldi, spedizione dei Mille, unità d’Italia. Tra il 1860 e il 1861 ne sono avvenute di cose. Eppure, non tutti furono soddisfatti di come andò.
Buona parte del popolo meridionale percepiva la nuova situazione come una perdita di libertà, come una sorta di annessione del Sud da parte del Piemonte, come un assoggettamento dei Borbone ai Sabaudi.
Malcontento popolare, proteste, atti ostili, banditismo, brigantaggio: fu questa la “questione meridionale” che Torino decise di risolvere militarmente (e che Eugenio Bennato ha mirabilmente raccontato e musicato nelle sue canzoni).
Prima Cialdini, poi La Marmora, i generali dell’esercito piemontese avevano il compito di sedare la rivolta ed “estirpare” il brigantaggio. E vi riuscirono. Briganti quali “Ninco Nanco” e Carmine Crocco in Basilicata, “Fra’ Diavolo” a Itri, “Chiavone” in Ciociaria, “Il Colonnello” nel Foggiano, Berardino Viola nella Marsica, e tanti altri: scovati, uccisi e immortalati come trofei.
Ovviamente, non è questa la sede per approfondire un argomento così vasto come il brigantaggio post-unitario, per cui lascio al volere del lettore farlo in autonomia, se lo desidera, la letteratura in materia è vasta e completa.
Tuttavia, questa premessa era fondamentale per inquadrare il pezzo che mostro oggi.
Si tratta di una minuscola letterina, ripiegata più volte su sé stessa, datata 16 maggio 1862, spedita da Capua in direzione di Cuneo dove vi arrivò il 20 maggio (al retro, i bolli di transito a Napoli e Torino, oltre che quello di arrivo a Cuneo).
Il destinatario era l’addetto della stazione ferroviaria, nonché fratello del mittente.
Il mittente si preoccupò di sottolineare che Cuneo fosse “In Piemonte“: sai com’è, magari questi trogloditi locali non lo sanno…
La missiva non venne affrancata e venne quindi tassata all’arrivo di 2 decimi, ovvero venti centesimi di Lira. A quell’epoca, infatti, non esisteva un servizio di posta militare a seguito delle truppe, per cui i militi per impostare la propria corrispondenza dovevano utilizzare il servizio postale civile, non sempre a disposizione e non sempre approvvigionato di francobolli, soprattutto in quel momento storico.
Inoltre, come detto, la missiva venne tassata per 20 centesimi, ovvero l’esatto importo della tariffa postale per lettera semplice per l’interno. Normalmente, e fino a quando è esistito il regime tassatorio, la tassa da far pagare al destinatario era pari al doppio dell’affrancatura mancante. Ad eccezione dei militari: la corrispondenza inviata o ricevuta da militari senza francobollo doveva essere tassata per l’importo mancante, non per il doppio. E infatti così avvenne.
Oltretutto, il mittente impostò il piego in ritardo, quando la corrispondenza del giorno era già stata inoltrata dall’ufficio di impostazione nel circuito postale. Per tale ragione, venne apposto il bollo corsivo “DOPO LA PARTENZA”. Quindi, di fatto, la lettera partì da Capua il 17 maggio.
Ma ancora più interessante è l’uso all’interno della missiva di un bollo riportante l’effige e la dicitura “Vittorio Emanuele II Re d’Italia” nonché il testo stesso che riporto di seguito (ho volutamente lasciato gli errori grammaticali).
«Cariss.mo Fratello
Capua lì 16 Maggio 1862
Ti spedisco qui la presente per farti sapere delle mie notizzie al momento godo una perfetta salute e così spero anche il simile di te.
Intanto ti partecipo che ho ricevutto la tua cara lettera scrita in datta del 17 Dicembre e la ho ricevuta li 24 detto, e nella medesima conteneva un vaglia postale di Lire cinque; ho sempre ritardato a farti il riscontro perché mi trovavo quasi mai fermo, eravamo quasi sempre indistacamento nei picoli paesi al dintorno di Capua, e si stava quindici giorni in un paese, e venti in un altro, e per questo che ho ritardato fino a quest’ora.
Ma ora ti fo notto che dalla 7ma Compagnia son trasferto alla 14ma Comp.ia il primo di Gennaio.
E il primo di Aprile hanno formato delle altre compagnie, e io son trasferto di bel nuovo alla 18ma Comp.ia.
Ti partecipo che facilmente il primo di Luglio devono formare otto nuovi Regg.ti, e vengono formarli in piemonte, si dice che quatro Regg.ti che li formano al Campo di S. Maurizio, e due a Torino, e altri due in Alessandria, e si dice che prendono tutte le 17ma e 18ma Comp.ia di ogni Regg.to e così io mi trovo nella 18a spero di venire anche me in piemonte a far parte a questi Reggimenti.
Al momento non mi occore altro che di salutarti e sono tuo Aff.mo Fratello Francesco
Serg.te nella 18ma Comp.ia del 2.do Regg.to Fant.ia in Capua.»
Chi scrive, quindi, altro non è che un sergente delle truppe di La Marmora, a contrasto della “piaga” del brigantaggio, di stanza nei dintorni di Capua.
Uno spaccato della vita delle truppe in quel momento e del caos che regnava: questo milite impiegò 5 mesi e mezzo per rispondere al fratello!
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