AL MARE A USTICA? NO, AL CONFINO

AL MARE A USTICA? NO, AL CONFINO

Ho già trattato l’argomento del confino politico in due precedenti ‘sfizi’, Ponza e Ventotene, e a questi rimando per rileggerne la storia.
Oggi ‘cambiamo’ isola, e ce ne andiamo a Ustica, in provincia di Palermo.

Ustica è, come la quasi totalità delle isole del Tirreno, un’isola vulcanica, ma del vulcano originario conserva giusto la forma sub circolare dal momento che il cono è ormai molto appiattito a causa dell’erosione. Padroni dell’isola sono il mare, il vento, e il sole: i tramonti visti dall’isola sono un’emozione unica.

I più legano il nome di Ustica al disastro del volo Itavia 870 nel 27 giugno 1980, ancora avvolto nel mistero e le cui 81 vittime rimangono tuttora senza responsabili.
Ma pochi associano l’isola alla sua lunga storia legata al confino.

Per la sua conformazione e la sua posizione, Ustica si è prestata ad essere il più naturale ‘carcere a cielo aperto’ possibile. Sin dai tempi dei Borbone (recentemente, il Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica ha pubblicato le memorie del relegato politico antiborbonico Pietro Minneci, nel 1856) l’isola è stata la sede di quello che allora era più un domicilio coatto che un vero e proprio confino.

Successivamente, sull’isola sono approdati i deportati provenienti dalla Libia, dal 1911 al 1934: in numero di alcune centinaia, erano notabili o uomini del popolo, deportati in conseguenza dell’occupazione italiana delle loro terre.

Ma Ustica diventa un vero e proprio confino politico a partire dal 1926, ovvero dalla entrata in vigore delle leggi ‘fascistissime’ di Pubblica Sicurezza (articoli 184-193 del Regio Decreto n.1848 del 6 novembre 1926) che consentivano al regime di spedire al confino qualsiasi elemento indesiderato, con la scusa/ragione di essere un pericolo per la sicurezza nazionale e al fine di prevenire praeter delictum un crimine, e senza procedere ad alcun processo.
Fino al 1943, ovvero sino all’8 settembre, oltre 15.000 persone vennero spedite al confino in quegli anni, in tutta Italia.

A Ustica giunsero sia ‘coatti’, ovvero confinati per reati comuni, che confinati per motivi politici tra cui Giuseppe Romita, Amadeo Bordiga, Nello Rosselli, Antonio Gramsci, Ferruccio Parri, Randolfo Pacciardi.
Quel che inizialmente poteva apparire un luogo di villeggiatura, ben presto assumeva le sue reali e terribili forme. Così scriveva Antonio Gramsci in una lettera a sua cognata Tatiana il 25 aprile 1927:
«E’ impossibile immaginare la vita a Ustica, l’ambiente di Ustica, perché è assolutamente eccezionale, è fuori di ogni esperienza normale di umana convivenza.»

Alfredo Misuri, nel suo “Ad bestias! Memorie d’un perseguitato“, mostra il proprio “Modulo n.119”, ovvero la ‘carta di permanenza’ del confinato, una sorta di passaporto interno che il confinato doveva sempre portare con sé, e sul quale sono riportati tutti gli obblighi del confino:
1. Darsi a stabile lavoro
2. Non allontanarsi dall’abitazione scelta senza preavviso dell’Autorità proposta alla sorveglianza
3. Non uscire al mattino più presto del levar del sole e rincasare non più tardi di un’ora dopo l’Avemaria
4. Non tenere né portare armi proprie né altri strumenti atti ad offendere
5. Non frequentare postriboli, né osterie od altri esercizi pubblici
6. Avere buona condotta e non dar luogo a sospetti
7. Presentarsi all’Autorità di P. S. proposta alla sorveglianza alla domenica e ad ogni chiamata della medesima
8. Portare sempre addosso la presente carta di permanenza ed esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di P. S.
9. Non associarsi ai confinati per delitti comuni
10. Non oltrepassare i confini della Colonia senza il permesso della Direzione

Per non dilungarmi troppo, a chi interessa approfondire l’argomento rimando alla corposa bibliografia a riguardo e alle risorse facilmente reperibili in rete tra cui, in particolare, segnalo il sito web del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica.

All’inizio del 1942 Ustica venne utilizzata anche come luogo di internamento. Vi vennero trasferiti oltre un migliaio (tra militari e civili accusati di essere spie, sovversivi o comunisti) di Slavi dalla Slovenia, Dalmazia e Montenegro, nonché Albanesi e Greci, la cui deportazione era giustificata dal progetto fascista di ‘sbalcanizzazione’ e di ‘bonifica etnica’ dei luoghi occupati.
Le condizioni di vita erano ‘al limite’: molti morirono di fame o tubercolosi.

Poco prima dello sbarco degli Alleati in Sicilia (8 luglio 1943), internati e confinati furono trasferiti in campi di internamento sul ‘continente’ (Renicci-Anghiari, Fraschette d’Alatri, Solfora, ecc).
Tutt’a un tratto gli equilibri dell’isola vennero sconvolti. Seppur fosse quella dei confinati una presenza imposta, i cittadini di Ustica avevano con essi creato una sinergia anche economica: viveri, alloggi, relazioni, tutto si muoveva come un meccanismo oliato per decenni. Un meccanismo che venne meno nel momento in cui vennero meno i confinati.

il 31 dicembre 1944 venne ricostituita la colonia confinati, non politici ma semplicemente comuni, e tra il 24 e il 28 gennaio 1945 con l’incrociatore Montecuccoli furono portati al confino 288 giovani della provincia di Ragusa coinvolti nel movimento del “Non si parte” (incentrato sulla diserzione dei giovani chiamati alle armi, ben descritta in “Una donna di Ragusa“, di Maria Occhipinti) che resteranno sull’isola sino al luglio del ’46.

Nell’immediato dopoguerra, sebbene il neo eletto sindaco Anna Notarbartolo avviò decine di interventi migliorativi della sua Ustica, il malcontento della popolazione nei confronti dei confinati aumentava.
Come accennato, l’economia isolana per duecento anni si era sviluppata in funzione del confino, non ultimo il fatto che la Direzione della Colonia Confinaria si faceva carico di portare acqua con navi cisterna nell’isola (il problema idrico era forse il più serio, nell’isola). Ma si credeva anche che la presenza dei reietti impedisse un vero sviluppo turistico dell’isola.

Ed è a questo punto della storia che si inserisce il pezzo che mostro oggi.
Si tratta di una cartolina spedita il 20 novembre 1948 da Ustica per San Cipirrello (Palermo) dove giunse due giorni dopo.
La cartolina è affrancata con 6 Lire, la tariffa valida in quel momento per cartolina illustrata con al massimo cinque parole. Qui ne troviamo di più, l’ufficio postale di Ustica evidentemente chiuse un occhio.

L’annullo in partenza, usurato da decenni di utilizzo, riporta il cosiddetto “frazionario” dell’ufficio postale di Ustica.
Nel 1915 tutti gli uffici del Regno d’Italia vennero infatti codificati con una coppia di numeri: il primo numero rappresentava la provincia, il secondo l’ufficio postale. Quindi, nel nostro caso, “43-110”, 43 è il numero relativo alla provincia di Palermo, 110 quello dell’ufficio postale di Ustica.
Il frazionario è una codifica tuttora esistente: cercando un ufficio postale sul sito di Poste Italiane si potrà osservare che una delle voci è appunto il frazionario. Fate la prova con Ustica, troverete appunto 43110.

Il testo della cartolina è poco interessante, solo convenevoli.
Quel che più ci interessa è però che il mittente ha annotato sulla cartolina le sue generalità, specificando:

Confinato
Scalici Mario
Ustica

Era quindi un confinato.
Nelle fonti e testimonianze consultate ho rinvenuto uno Scalici a Ustica negli anni ’50, ma si chiamava Giuseppe e si trattava di un poliziotto, e precisamente (ironia della sorte) del poliziotto che si occupava tutti i giorni, insieme al suo aiutante Sesto (che suonava con la tromba la ritirata), di aprire e chiudere i lucchetti dei cameroni presso cui alloggiavano la notte i confinati in numero di 50 per stanza, circa.
Curiosa coincidenza, ma evidentemente erano due persone diverse.

La cartolina passò dalle mani della censura, tant’è che ricevette il bollo (apposto anche sul lato veduta della cartolina) con la sigla del censore:

Direzione Colonia Confino
USTICA
Verificato per censura

Il lavoro della censura postale ci viene ben descritto dal già citato Misuri.
«Il piroscafo arrivava, a seconda dello stato del mare, dalle dieci alle undici; qualche volta è arrivato nelle prime ore del pomeriggio, col mare grosso, per ripartire subito. Trisettimanale nella buona stagione, diveniva settimanale o quindicinale nella cattiva.
La posta pei confinati veniva portata in Direzione ed ivi censurata un po’ da tutti, anche dagli agenti, anche dal “coatto” segretario. Ma, da ultimo, venne affidata ad un capo-manipolo della milizia, tale Giardina, buon diavolo, d’aspetto tutt’altro che squadristico, che eseguiva umanamente il suo compito di censore e fu gentile con mia moglie quando, essendomi lussato e fratturato il malleolo sinistro e non potendo più scendere in paese, si recava a ritirare la corrispondenza.
Le frasi che non erano di soddisfazione del censore venivano coperte con una pennellata d’inchiostro grasso; così, sovente, le lettere censurate assumevano l’aspetto di fotografie di persiane.
La distribuzione avveniva verso le quattro del pomeriggio, promiscuamente, per confinati politici e per “coatti”. […]
Quando non bastava annullare le frasi poco fortunate, ma occorrevano delle spiegazioni, veniva chiamato il destinatario dal Direttore o da chi per esso.»

Riprendendo il resoconto storico, in data 23 settembre 1953 riscontriamo da parte del consigliere Gaetano Lanto una mozione presentata in Consiglio Comunale, sottoscritta da 12 consiglieri e accompagnata da una petizione popolare, con cui si chiedeva «il trasferimento altrove dei sorvegliati, affinché tutto il popolo possa realizzare il suo sogno di redenzione economica e sociale nello sviluppo turistico, unica fonte atta a permettergli il legittimo godimento dei diritti di libertà e di parità spettanti a ogni cittadino italiano».
La mozione venne approvata.

Il colpo definitivo alla presenza dei confinati sull’isola venne nell’autunno 1955 quando sull’isola vennero inviati un centinaio di nuovi ‘ospiti’: affiliati della ‘ndrangheta calabrese, pastori di Orgosolo processati per omicidio, borsaioli palermitani e contrabbandieri toscani.
I confinati regolavano (spesso non in privato, ma tra la cittadinanza) vecchi o nuovi sospesi con atti di violenza, diverbi, liti e risse.
Una situazione eccessiva e pericolosa che per la sicurezza dei cittadini usticesi impose al Consiglio Comunale la reintroduzione nel marzo 1957 dei limiti confinari al solo centro abitato, e neppure tutto.

Dopo vari rimpasti amministrativi e innumerevoli discussioni in merito, anche in ragione del sempre crescente nervosismo tra la popolazione per una situazione che raggiunse i massimi livelli di pericolosità tra il 1958 e il 1961, il 20 marzo 1961 il Consiglio Comunale votò infine la richiesta di cancellazione di Ustica dall’elenco dei 107 comuni sedi di soggiorno obbligato, cosa che avvenne con nota del Ministero dell’Interno n. 10-14406 del 19 maggio 1961.
Il confino a Ustica da quel momento faceva parte del passato.

Bibliografia consultata
• AA.VV., “Lettere di antifascisti dal carcere“. 2 voll., Editori Riuniti, Cassino, 1962
• Vito Ailara, “Dal Confino al Turismo. Gli anni delle decisioni sofferte e contestate (1950-1961)“. Lettera del Centro Studi e Documentazione Isola di Ustica, n. 50 gennaio-giugno 2016, pp. 5-17
• Vito Ailara, Massimo Caserta, “I relegati Libici a Ustica dal 1911 al 1934“. C.S.D.I.U., Ustica, 2012
• Vito Ailara, Massimo Caserta, “Il confino politico a Ustica 1926-27. Immotus nec iners“. C.S.D.I.U., Ustica, 2016
• Massimo Caserta, “Quando la villeggiatura era il confino“. Lettera del C.S.D.I.U., n. 15-16 dicembre 2003-aprile 2004, pp. 8-18
• Zeffiro Ciuffoletti (a cura di), “I Rosselli, Epistolario familiare 1914-1937“. Mondadori, Milano, 1997
• Giovanna Delfini, “Una matita alla dinamite. Le vignette satiriche di Giuseppe Scalarini confinato politico antifascista a Ustica tra storia e attualità“. C.S.D.I.U., Ustica, 2011
• Chiara Donno, “Donne al confino“. Lettera del C.S.D.I.U., n. 10 aprile 2002, pp. 8-10
• Mimmo Franzinelli, “Il delitto Rosselli“. Mondadori, Milano, 2007
• Giuseppe Giacino, “Una storia di posta nel Tirreno. Isola di Ustica 1861-2011“. C.S.D.I.U., Ustica, 2011
• Massimiliano Melilli, “Punta Galera, il romanzo di Antonio Gramsci a Ustica“. Giunti, Firenze, 2001
• Pietro Minneci, “Ustica“. C.S.D.I.U., Ustica, 2009
• Alfredo Misuri, “Ad bestias! Memorie d’un perseguitato“. Edizioni delle catacombe, Roma durante l’occupazione tedesca, 1944
• Maria Occhipinti, “Una donna di Ragusa“. Feltrinelli, Milano, 1976

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