DA AGIRA DEI FILIPPINI È TUTTO, PASSO E CHIUDO!

DA AGIRA DEI FILIPPINI È TUTTO, PASSO E CHIUDO!

Entroterra siciliano, 1946.
Luoghi e tempi dovrebbero già impostare automaticamente il nostro cervello a pensare cosa poteva significare vivere in un paese dell’entroterra siculo ottant’anni fa.
Possiamo quindi immaginare l’arretratezza economica, l’ignoranza scolastica, la mafia.

Ora… Il documento postale protagonista dello sfizio di oggi potrebbe essere la classica eccezione che conferma la regola, ma tant’è.
Si tratta di una cartolina postale spedita da Agira (Enna) il 1° ottobre 1945 e diretta ad Avola (Siracusa).

Anzitutto, un paio di informazioni filateliche e storico-postali.
Come è possibile osservare, ai 60 centesimi della cartolina postale venne integrato un francobollo da 1.20 Lire per raggiungere l’importo complessivo di 1.80 Lire. In realtà, in quel momento, la tariffa per cartolina postale era di 1.20 Lire, quindi la nostra cartolina venne affrancata con 60 centesimi in più.

E’ possibile che l’ufficio postale di partenza fosse sprovvisto di francobolli di taglio inferiore, oppure è possibile che il mittente abbia deliberatamente considerato nullo l’importo di 60 centesimi impresso sulla cartolina perché effigiante il Re Vittorio Emanuele III, da molti considerato colpevole di non aver avuto un ruolo di maggior peso negli ultimi vent’anni, anni che consegnarono la nazione al fascismo e quindi alla rovina bellica del secondo conflitto mondiale.

Il francobollo utilizzato per l’integrazione è un francobollo da 20 centesimi emesso dalla Repubblica Sociale Italiana il 5 giugno 1944, che venne sovrastampato nel maggio 1945 ricoprendo diciture e slogan legati alla RSI e aumentandone il valore a 1.20 Lire. Il francobollo riproduce la Loggia dei mercanti di Bologna, distrutta dai bombardamenti alleati (la serie di propaganda cui appartiene si chiama infatti “Monumenti distrutti”). Tali francobolli, stampati in quantità ingente e pronti a partire per il nord, furono bloccati a Roma dall’arrivo degli Alleati i quali li requisirono e li cedettero al Governo italiano che ritenne di utilizzarli appunto sovrastampandoli come detto sopra.

Ma ritorniamo alla nostra storia.
«Tano carissimo,
Graditissima ho avuto la tua cartolina, nella quale con mio grande dispiacere ho potuto notare qualche nota di risentimento, per quanto tu abbia cercato di mitigarlo rivestendolo di sarcasmo. Ma come già ti scrissi, torno ad assicurarti che il mio ritardo non fu causato dalla mia volontà, e nello stesso tempo ti assicuro che nel paese dei S. Filippini abbiamo sempre avuto l’Ufficio Postale, e per giunta officiato da vaghe donzellette ben fornite di rappresentanza. Apprendo con piacere che ad Avola vi divertite passando da gite a balli, e me ne congratulo, ma ad un tempo mi è increscioso comunicarti che qui da noi quel movimento che ti avevo annunziato è ormai cessato: la stagione estiva si è chiusa e siamo già incalzati dal rigido inverno. Dopo l’imbrunire non si vede per le strade anima viva. L’unica speranza di noi giovani si racchiude esclusivamente in qualche serata da ballo.
Ti prego di porgere a Mario Ferro i miei ringraziamenti per le sue calorose cartoline: troppo lunghe veramente!… A quanto compra l’inchiostro al litro? Aspetta forse che debba essere io a scrivergli per primo? Digli che lo avrei fatto volentieri se non avessi smarrito il suo indirizzo. Comunque, gli invio ugualmente il mio vivo saluto e un bacione per sé e per la sua brava Daina…
Abbiti ora da me un affettuoso abbraccio unito alla raccomandazione di scrivermi di frequente.
Nato Manno
N.B. Ti annunzio che la piantina della beconia vellutata dopo pochi giorni dell’arrivo ad Agira passò all’altro mondo. N.M.»

La prima cosa che salta agli occhi è il perfetto italiano con cui il mittente scrive la cartolina, soprattutto se contestualizziamo (come accennato in premessa) questa corrispondenza nelle aree interne della Sicilia del 1946.

Il mittente parla del sarcasmo del suo amico, ma è lui stesso a utilizzare altrettanto sarcasmo quando riferisce dell’ufficio postale (e delle donzelle) presente nel “paese dei S. Filippini”, Agira.
A proposito, perché lo chiama così?

Filippo, nato in Tracia nel 40 d.C., fu educato fin da giovane alla religione cristiana e imparò anche il siriaco. In seguito si trasferì a Roma insieme al monaco Eusebio, dove fu ordinato sacerdote e incaricato di partire per la Sicilia, con la missione di sostenere e rafforzare la fede cristiana tra gli abitanti dell’isola.
All’inizio visse da solo in una grotta su una montagna vicino al paese che oggi si chiama Sant’Angelo di Brolo (Messina), ma più tardi si spostò ad Agyrium (l’antico nome di Agira).
Durante la sua vita in Sicilia (morì ad Agira il 12 maggio del 103 d.C., passando alla storia come “Filippo di Agira”), si dedicò a compiere esorcismi e miracoli, diventando una figura di grande devozione tra i cristiani della regione.
San Filippo di Agira è, appunto, il patrono della cittadina ennese.

Infine, merita un commento l’ultimo passaggio della cartolina di Fortunato.
Pollice nero, eh, Fortunato!?
La begonia è una pianta ornamentale che racchiude (escludendo ibridi e molteplici cultivar) ben 1900 specie, per cui la “vellutata” di cui si parla nel testo sarà una di quelle, o un modo di dire per identificare una precisa tipologia.
Chissà.
L’unica cosa sicura è che defunse.

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