LAMPEDUSA, PORTA DEL MEDITERRANEO E LUOGO DI CONFINO

LAMPEDUSA, PORTA DEL MEDITERRANEO E LUOGO DI CONFINO

Su Sfizi.Di.Posta ho già trattato le altre isole che durante il regime fascista furono luogo di confino politico.
A questi contributi rimando per ogni ulteriore approfondimento, anche di tipo generale su cosa fu il confino politico dal 1926 al 1943.

– Ponza:
https://www.sfizidiposta.it/2020/05/29/ti-spedisco-a-ponza-al-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1188053664874778
– Ventotene:
https://www.sfizidiposta.it/2020/06/12/ventotene-tra-europa-e-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1191592707854207
– Ustica:
https://www.sfizidiposta.it/2020/06/25/al-mare-a-ustica-no-al-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1213930402287104
– Lipari:
https://www.sfizidiposta.it/2020/08/03/confinati-politici-sulle-spiagge-nere-di-lipari/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1231433913870086
– Tremiti:
https://www.sfizidiposta.it/2021/05/11/tremiti-luogo-di-confino/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1463639050649570
– Favignana:
https://www.sfizidiposta.it/2021/07/19/la-dura-vita-del-confinato-politico-a-favignana/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1512005895812885
– Pantelleria
https://www.sfizidiposta.it/2021/08/16/pantelleria-ai-confini-del-confino-politico/
https://www.facebook.com/sfizidiposta/posts/1531583957188412

Oggi parliamo dell’ultima isola che venne utilizzata dal regime per confinare i dissidenti politici: Lampedusa.
Oggi, Lampedusa, è avamposto di confine, terra di approdo, porta del Mediterraneo, luogo di dolore e sofferenza.
Un tempo non era da meno.

Eppure, non basterebbe uno ‘sfizio’ per descrivere le bellezze di quest’isola.
Come latitudine più in basso di Malta e molto più in basso di Tunisi, Lampedusa vive oggi di turismo ampiamente giustificato dalle calette da sogno sulle quali si affaccia un mare paradisiaco. E’ sufficiente cercare su Google Immagini e troverete tante di quelle foto da strabuzzare gli occhi.

Questo paradiso in terra, o meglio in mare, fu però non sempre un paradiso. Almeno, non per tutti.
Già nel 1872, infatti, il governo sabaudo decise di utilizzare l’isola come luogo per il domicilio coatto, misura preventiva che veniva assegnata a civili che si erano macchiati di reati comuni.

Per ospitare detti detenuti vennero costruiti i cosiddetti “cameroni”, grandi strutture che esistono tuttora, sebbene riqualificate in quanto non più necessarie allo scopo. Ma la strada per si percorre per raggiungerli ancora oggi si chiama “Via Cameroni”.

I coatti potevano allontanarsi di giorno dai cameroni, a patto che andassero a lavorare in una delle diverse attività dell’isola.

Quando poi, dal 1926, l’isola divenne luogo dove inviare anche i confinati politici, il numero dei detenuti arrivò a toccare le 1800 unità, creando non pochi problemi di convivenza con la popolazione autoctona.

Tra i confinati ‘eccellenti’ che passarono da Lampedusa possiamo ricordare Giuseppe Massarenti, Guido Picelli e Giuseppe Scalarini.

Classe 1873, Giuseppe Scalarini, mantovano di nascita, non nascose mai il suo carattere pacifista e antimilitare. Brillante nel disegno, divenne vignettista dell’Avanti! nel 1911 fino a quando il giornale socialista venne soppresso (insieme a tutti gli altri, nel 1926).

Nel 1914 Mussolini venne espulso dal partito socialista, e Scalarini illustrò sul giornale l’episodio con una vignetta in cui Mussolini, armato di pugnale, sale su un versante di una montagna per colpire alle spalle Gesù Cristo (all’epoca a impersonificare il socialismo).
Questo episodio non deve essere stato tanto digerito da Mussolini il quale, evidentemente, non appena gli fu possibile si vendicò del torto subito.

Solo così si spiega, infatti, la costante persecuzione di tipo politico, ma non solo, che Scalarini subì successivamente: due aggressioni squadristiche la seconda delle quali gli lasciò segni permanenti e che lo portò direttamente dall’ospedale al carcere, e da lì al confino politico, prima a Lampedusa, poi a Ustica, Istonio (l’attuale Vasto) e Bucchianico.

Alla vigilia del secondo conflitto mondiale rientrò a casa, ma rimase un sorvegliato speciale: per diretto ordine del Duce, infatti, non poteva pubblicare nulla, né scritti né disegni, mentre nel 1943 riuscì a sottrarsi all’arresto delle milizie della RSI.
Al termine della guerra, finalmente libero dalle persecuzioni, tornò a disegnare, ma morì da lì a poco, nel 1948.

Nel suo “Il confinato. Diario illustrato di Giuseppe Scalarini“, volume a cura di Ferdinando Levi ed edito da Fondazione Anna Kuliscioff nel 2021, il disegnatore fornisce ampie e dettagliate descrizioni del suo confino a Lampedusa.

I confinati, dopo la traversata, venivano fatti scendere dal piroscafo ammanettati a due a due; si formava così un lugubre corteo che i presenti sull’isola chiamavano “la catena”, e che si dirigeva verso la direzione della colonia.

I confinati erano quindi interrogati e assegnati al camerone.
Qui i confinati venivano rinchiusi (a chiave, con lucchetto, e con sentinelle diurne e notturne), previo appello per il controllo delle presenze, dalle 16.30 alle 7.00.
Il resto del tempo venivano liberati ma erano comunque sottoposti a svariate restrizioni: non potevano uscire dall’abitato, scendere al porto quando c’era il piroscafo, avvicinarsi alle barche, circolare in più di cinque insieme, trattenersi a lungo nei locali dove si mangiava.

I coatti comuni avevano più libertà, potevano uscire dall’abitato, ma a patto che si recassero in un luogo di lavoro. La differenza la faceva inoltre la paghetta, un’elemosina di Stato che consentiva a quei poveri cristi di comprare quel poco che serviva: 10 Lire/giorno ai confinati politici, 4 Lire/giorno ai coatti.

Di come fossero allestiti i cameroni riporto integralmente la descrizione che ne fa Scalarini:
«Nel camerone, destinato per dormitorio, c’erano due lunghe file di brande, così vicine che una pulce poteva saltare a piè pari da una branda all’altra.
La branda era il mobile che serviva per tutti gli usi: tavola da pranzo, tavola da cucina, tavolino da gioco; divano, scrivania, banco scolastico: branda tutto-fare, come le domestiche.
Se il saccone fosse stato pieno di paglia, pazienza! Ma era pieno, invece, di certi grossi fusti, che pareva di sdraiarsi su delle verghe di ferro.
Alle pareti erano appesi vestiti e cappelli; sotto i letti si vedevano valigie, scatole, fagotti, cassette, scarpe, catini, ecc.
I mobili ce li facevano i coatti: armadietti, sgabelli, mensole».

Il piroscafo arrivava una sola volta alla settimana: partiva il venerdì sera da Porto Empedocle e arrivava il sabato mattina a Lampedusa.
Il giro era sempre lo stesso: Linosa, Lampedusa, Medhie (Tunisia), Lampedusa, Scauri – Tracino, Pantelleria, Mazara del Vallo, Marsala, Favignana, Trapani.
In caso di maltempo la corsa veniva annullata, non posticipata.

Insieme ai nuovi confinati, il piroscafo portava anche la posta che veniva distribuita molte ore dopo l’arrivo del piroscafo perché passava prima nell’ufficio della censura.
I confinati si riunivano in una piazzetta, davanti alla casa della direzione, dove un agente provvedeva alla distribuzione.

Anche Scalarini subì gli interventi della censura: «una volta, per una cartolina piena di firme; una seconda volta, per un’altra cartolina, con la cartina topografica di Lampedusa, che si vendeva in tutte le botteghe; una terza, per una lettera da casa, piena di saluti di amici».

E ancora:
«Un’altra volta, mentre stavo scrivendo in riva al mare una lettera a casa, passò da lontano un milite che si voltò più volte a guardarmi.
“Che abbia qualche pensiero per la testa?” pensai.
Tornai in paese con un po’ di inquietudine addosso.
La sera, nel camerone, c’era una certa agitazione.
I miei amici mi domandarono:
– Non sai niente?
– No; cos’è successo?
– Hanno denunciato un confinato che stava disegnando, al mare. Eri tu?
– Io? no; io stavo scrivendo.
– Eppure un milite è andato a dire, in direzione, che disegnavi. Non lo sai ch’è proibito?
– Perché?
– Perché Lampedusa è zona di guerra.
– Nessuno me l’ha detto; a ogni modo, ripeto, io stavo scrivendo.
– Sta in guardia che non ti freghino!
Passai una notte insonne.
– Sta a vedere che mi preparano qualche pasticcio!
Non prepararono nulla, per fortuna; ma che paura!»

Questa, quindi, l’aria che si respirava in quegli anni a Lampedusa.
Eppure, in tanti anni di ricerche, non sono mai riuscito a trovare una cartolina o una lettera da o per Lampedusa con i bolli della censura confinaria.
Come è possibile che di tutti gli altri luoghi di confino si trovano testimonianze scritte, e non di Lampedusa?

Le ragioni possono essere diverse, per cui non mi sento di avanzare alcuna ipotesi.
Ipotesi che, peraltro, potrebbero essere immediatamente smentite dal ritrovamento di corrispondenza censurata.
In mancanza di essa, oggi faccio una piccola deroga e mostro una cartolina, ma stavolta dal solo lato veduta.

Finora, nei precedenti ‘sfizi’, i protagonisti della corrispondenza dalle colonie confinarie sono stati i confinati stessi.
Ma nelle colonie non vi erano solo essi. Come abbiamo visto, vi erano anche i militi, spessissimo allineati con il regime e con le idee totalitarie del fascismo, altre volte (poche) costretti a fare quel lavoro per tirare a campare.

La cartolina di oggi è stata inviata il 23 marzo 1936, ed è diretta a Polla, Salerno.
Chi scrive è proprio da un milite appena arrivato a Lampedusa (al verso racconta dell’ottimo viaggio per mare).

Sull’illustrazione della cartolina il soldato Peppino appunta: «…Ove trascorrono le immense ore di nostalgia…».
Evidentemente, il confino non era alienante solo per i confinati…

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