CHE BUONO IL MOSCATO DI TERRACINA!

CHE BUONO IL MOSCATO DI TERRACINA!

E’ proprio vero che l’Italia è ‘o paese d’ ‘o sole.
Ma anche del mare, del cibo. E del buon vino.
Quanti vitigni autoctoni abbiamo in Italia? Enologicamente parlando, per la felice combinazione di tanti fattori (clima, terreni, posizione, etc), l’Italia è senz’altro uno dei paesi al mondo più interessanti.

Nel litorale del basso Lazio la fa da padrone il moscato di Terracina, un vitigno antico ed espressione dei terreni a volte sabbiosi e a volte carsici sui quali insistono le viti accarezzate dai venti di libeccio che arrivano dal vicino litorale e da quelli di scirocco provenienti dall’entroterra, connubio di situazioni che conferiscono al vino una persistente freschezza.

Sul moscato di Terracina esiste un’interessantissima relazione, a firma del dott. Antonio Zappi Recordati, del 1928, quasi coeva della cartolina di cui parleremo tra poco.

«La coltivazione del moscato può essere fatta risalire a Terracina alla prima metà del 1600 […] Ben 600 ettari a vigneto si trovano nella Valle di San Silviano, su terreni argillo-sabbiosi, ma ancor più estesi sono i terreni sabbiosi coltivati a ridosso della spiaggia di ponente, fino al Circeo, e quelli sulla spiaggia di levante, fino al Lago di Fondi […] L’optimum ambientale si raggiunge grazie al clima che è temperato, mite, costante e, tuttavia, ventilato per la presenza dei venti di libeccio e di scirocco. Quando però, nelle immediate vicinanze della spiaggia, le viti sono esposte a ventilazione eccessiva ed alla salsedine, si provvede a ridurne gli effetti con siepi di erica e di canne palustri.»

In questo contesto si innesta il pezzo che voglio mostrarvi oggi. Una normalissima, se volete, cartolina commerciale intestata alla “Cooperativa Uva Moscato – Terracina” spedita il 4 dicembre 1922 e indirizzata alla Miniera di Zolfo Di Marzo, a Tufo (Avellino).

Della Cooperativa ne parla sempre lo Zappi Recordati nella pubblicazione di cui sopra, un passaggio che vale la pena riportare anche se un po’ lungo.

«Ogni produttore si obbliga a conferire alla Cooperativa l’intera produzione destinata all’esportazione. La cooperativa provvede alla confezione e all’inoltro, per mezzo di carri ferroviari che partono ogni giorno dalla stazione di Terracina, verso mercati nazionali ed esteri. Alla fine di novembre, in base ai prezzi spuntati settimanalmente sui mercati, una volta dedotte le spese, vengono liquidati i produttori.
Era possibile, per i soci, ottenere un anticipo, sulle partite di uva consegnate, fino ad un massimo di 2/3 del valore presunto. Era anche possibile, nel corso dell’anno, ottenere piccoli prestiti, rimborsabili alla raccolta, per provvedere all’acquisto di concimi, anticrittogamici, pali, fil di ferro ed attrezzi di lavoro.
L’assistenza ai soci arrivò perfino a fornire loro generi alimentari di prima necessità ed un servizio medico-chirurgico.
Nel 1924 si tentò anche un esperimento (non del tutto riuscito) di invio del moscato verso l’America. Maggior successo ebbero invece le spedizioni verso i mercati di Vienna, Monaco, Colonia e anche Polonia, Cecoslovacchia ed Inghilterra.
L’opera di promozione avviene anche con la partecipazione della cooperativa alle fiere ed alle mostre internazionali di Roma (1921), di Francoforte (1928).
In questi anni, grazie al moscato, si assiste all’innalzamento del tenore di vita dei Terracinesi, anche questo spiega la particolare venerazione del popolo per San Silviano, eletto a protettore dei vigneti, la cui festa si celebra ancora il primo maggio nella chiesa a Lui dedicata e che si trova in fondo alla Valle, alle pendici del Monte Leano.»

Quindi la Cooperativa provvedeva anche all’acquisto di anticrittogamici. Ed è appunto ciò che avvenne con l’invio della cartolina mostrata oggi.
Se infatti leggiamo il testo al retro, potremo comprendere di cosa stiamo parlando:
«Vi commettiamo per la corrente stagione N° 200 quintali di zolfo molito-frullato. In attesa di vostro benestare, vi salutiamo distintamente.»

E a cosa serviva lo zolfo?
Ancora una volta è lo Zappi Recordati che ci chiarisce anche questo aspetto:
«Trattamenti. Contro la peronospora si usa “l’acqua ramata” che altro non è che poltiglia bordolese, piuttosto forte, in percentuale del 2%. Contro l’oidio si effettuano invece frequenti solforazioni.»

L’oidio, detto anche “mal bianco” o “albugine”, è una malattia trofica delle piante causata da funghi Ascomycota della famiglia delle Erysiphaceae che comporta la formazione sulle foglie o sugli acini di un feltro di colore biancastro e di aspetto polverulento.

La difesa chimica contro l’oidio si effettua tradizionalmente con trattamenti a base di zolfo in polvere. Lo zolfo agisce sublimando allo stato di vapore e interferisce con la funzionalità delle membrane e della catena respiratoria devitalizzando le conidiospore al momento della loro germinazione bloccando perciò l’inizio dell’infezione.

Ecco a cosa serviva lo zolfo della ditta Di Marzo!
E questo per far arrivare sulle nostre tavole un ottimo vino moscato, il moscato di Terracina!
Mangiamo italiano, beviamo italiano!

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