DATEMI UNA “A”? NO! DATEMI UNA “T”!

DATEMI UNA “A”? NO! DATEMI UNA “T”!

Quando parliamo di emigrazione italiana ci viene immediatamente in mente lo stereotipo del meridionale imbarcato su una nave per gli Stati Uniti d’America con una valigia di cartone tenuta insieme con lo spago.

Eppure, appunto, di stereotipo si tratta.
Le correnti migratorie hanno sempre interessato tutti i popoli, chi più, chi meno.
Anche in Trentino.
In Trentino??
Ebbene sì.

A cavallo tra l’800 e il ‘900 gli alpeggi, i pascoli, le montagne, i tipici masi trentini, non erano un’attrattiva, come oggi.
Oggi si tende a scoprire o riscoprire certe tradizioni, e sempre più si assiste al percorso inverso, dalla città alla montagna.
Ma un tempo, appunto, non era così, anzi, si andava via.
L’effetto domino “disoccupazione > emigrazione > spopolamento montano” era la prassi.

A questo si aggiunse il fatto che il Trentino, per sua posizione geografica, fu per diversi anni lo scenario dei campi di battaglia durante la Grande Guerra.
Chi era emigrato o emigrava, chi moriva in battaglia o tornava, chi non moriva in battaglia ma sceglieva di non tornare: un vero caos.

In questo contesto a Rovereto venne istituito nel 1920 il “Segretariato trentino d’emigrazione”. Ne da notizia il “Bollettino della emigrazione”, anno XIX (1920), pubblicazione del Commissariato Generale dell’Emigrazione.
L’iniziativa fu della Camera di Commercio e d’Industria del Trentino, con l’appoggio del Commissariato di cui sopra.

Si legge:
«Il Segretariato, mantenendosi esclusivamente nel campo economico e culturale, esplicherà la sua azione nella tutela degli emigranti, appartenenti al Trentino.
Esso si propone cioè di aiutare, guidare e patrocinare i conterranei che emigrano, nelle loro pratiche amministrative e giudiziarie ed in ogni loro rapporto colle pubbliche amministrazioni nazionali e straniere, con le autorità consolari, con le società e con le casse di assicurazione ed eserciterà in genere nei limiti delle proprie forze ogni altra forma di conveniente protezione.
Fornirà pure alle persone che gliene facciano richiesta le indicazioni dei luoghi in cui vi è richiesta di mano d’opera, dissuadendo dal recarsi dove ne è esuberanza o esistano conflitti.
Compirà infine studi, raccoglierà dati statistici, assumendo iniziative per provocare nuovi provvedimenti legislativi a favore degli emigranti e migliorarne comunque le condizioni materiali ed intellettuali.»

E quindi, come tanti altri enti statali, anche il Segretariato trentino di emigrazione godeva dell’esenzione postale.
Non risulta quindi anomala la cartolina che mostro oggi, spedita da Rovereto il 15.1.1923. Il bollo ovale delle Regie Poste garantiva il diritto di esenzione postale.
Fin qui, tutto regolare.

La curiosità è sul retro della cartolina.
Osservando infatti il testo della stessa, battuto a macchina, è possibile facilmente osservare che mancano tutte le lettere “t”.
Il martello della lettera “t” evidentemente non funzionava. Oppure la lettera era deteriorata, e quindi non veniva impressa bene sulla carta.
L’addetto lo sapeva, e lasciava tanti spazi quante “t” avrebbe poi dovuto scrivere a mano. Cosa che appunto fece. Maiuscole comprese.

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